“Volevo condividere così tanto ciò che vedo,
pensavo che un artista dovesse insegnare come guardare il mondo.
Adesso riesco solo a pensare al mio rapporto con l’eternità”
“Questo film non è una biografia, ma la mia versione della storia. È un film sulla pittura e un pittore e la loro relazione”: questa è la dichiarazione del regista statunitense Julian Schnabel in occasione della settantacinquesima Mostra d’arte Cinematografica di Venezia, dove è stato proiettato in anteprima Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità.
Si tratta di quello che si potrebbe definire il film evento dell’anno, acclamato dalla critica ancora prima della sua uscita ufficiale nelle sale cinematografiche, il 3 gennaio 2019 per Lucky Red.
Julian Schnabel, anch’esso pittore, ha deciso di realizzare il film dedicato a Vincent Van Gogh non attraverso una biografia, che segue letteralmente la vita e le parole dell’artista, ma mediante un racconto intimo e profondo, descrivendo come sarebbero potute essere le sue giornate all’insegna dell’arte, utilizzando come fonte anche le lettere che l’artista stesso ha scritto al fratello Theo, suo punto di riferimento nel corso degli anni, soprattutto nei momenti più bui. Vengono quindi analizzate e descritte, fin dal principio della pellicola, la forte passione e la dedizione che Van Gogh ha avuto per la pittura, consapevole del suo talento e delle sue idee percepite all’avaguardia per l’epoca.
Il titolo stesso del film evidenzia lo stato complicato dell’artista: una vita trascorsa per la pittura, ma che incontra vari tipi di difficoltà: dalle problematicità nell’instaurare rapporti interpersonali, come quello con il collega Paul Gaugin, al desiderio di cambiare luoghi e paesaggi, alle vere e proprie derisioni da parte delle altre persone, alla malattia con la quale l’artista si è trovato a combattere negli ultimi anni della sua vita e che lo porterà al ricovero in un istituto psichiatrico. Un’esistenza caratterizzata da fatica e devozione all’arte che verrà ricompensata solamente dopo la morte dell’artista, quando la sua arte inizierà a essere considerata e apprezzata da un pubblico sempre più vasto.
“Vincent trascorreva molto tempo nella foresta camminando e coprendo lunghe distanze, capire quell’esperienza, e quanto fosse difficile, rappresentava per noi un elemento importante da mostrare al pubblico – sostiene Louise Kugelberg, una tra le sceneggiatrici – Se cammini senza fermarti ti immergi sempre più nel mondo che ti circonda, fino a riuscire a vedere oltre quello che ti aspettavi di vedere, e puoi arrivare perfino a scorgere quello che vedeva Van Gogh”
La natura e il paesaggio assolato di Arles, quindi, rivestono un ruolo fondamentale: Vincent faceva lunghe passeggiate per i campi, tra il grano che gli accarezzava il viso, andava alla ricerca di punti panoramici per fermarsi a dipingere direttamente sulla tela, e per trovare un modo per sentire pienamente il contatto con la terra.
Magistrale è l’interpretazione di Willem Dafoe nei panni di Van Gogh: l’attore è celebre per aver collaborato con la maggior parte dei più grandi registi del cinema moderno e per aver partecipato a numerosi progetti e produzioni hollywoodiane; ha inoltre ottenuto tre candidature agli Oscar come miglior attore non protagonista e candidature ai Golden Globe, oltre ad aver ricevuto molti premi cinematografici. L’attore è stato premiato alla 75° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi come Miglior attore ed è candidato ai Golden Globe 2019 come Miglior attore in un film drammatico. Dafoe è stato fortemente voluto da Schnabel per questo ruolo, perché la sua fisicità, la sua immaginazione e la sua curiosità nell’approfondire il personaggio da interpretare sembravano perfette. L’attore ha dovuto prendere lezioni di pittura dal regista, poiché quest’ultimo intendeva dare vita sullo schermo a qualcosa di concreto e di emotivo, provando così ad immaginare che cosa provasse il genio di Vincent mentre mostrava sulle tele il suo punto di vista del mondo.
È un’opera cinematografica drammatica e commovente che guarda all’interiorità dell’artista, genio fragile: “Penso solo al mio rapporto con l’eternità. Il mio dono al mondo è la mia pittura”, dichiara Vincent Van Gogh quasi al termine della sua vita. Una previsione divenuta effettivamente realtà.
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