Al telefono, da Trieste, Alessandro Fedrigo ci racconta Onda M, il suo ultimo album da solista, pubblicato lo scorso 28 ottobre. Per l’artista Onda M rappresenta un nuovo capitolo, una vera e propria sfida in cui Alessandro, partendo da suoni quotidiani, a volte ben nascosti durante la vita di tutti i giorni, li trasforma facendoli diventare vere e proprie composizioni e improvvisazioni elettroniche.
Chi è Alessandro Fedrigo? È un bassista, compositore, improvvisatore, ma non solo. É anche co-leader con Nicola Fazzini di XYQuartet ed è anche il fondatore dell’etichetta discografica nusica.org. Alessandro Fedrigo ha suonato, nel corso della sua carriera, nei più importanti festival di jazz italiani e ha effettuato tournée in Usa, Canada e un po’ in giro per tutta Europa. Durante la sua lunga attività artistica ha registrato oltre 30 cd con varie formazioni collaborando con artisti quali Amir ElSaffar, Samuel Blaser, Francois Huole, Tony Scott, Jimmy Weinstein, Chris Hunter, Ben Monder, Robert Wyatt, Elliot Zigmund, Ferenc Nemeth.
Cosa mi ha raccontato Alessandro Fedrigo di Onda M? Ve lo rivelo subito.
Ciao Alessandro. Il 28 ottobre è uscito il tuo album Onda M. Presentacelo un pochino.
Diciamo che è un disco elettronico. È una cosa nuova per me perché sono un bassista (con precisione un bassista elettrico) e mi sono sempre occupato di jazz. In questo caso però, durante la pandemia, spinto dal grande interesse per la musica elettronica, mi sono messo a lavorare al computer visto che non potevo condividere la musica con altri colleghi e da lì sono entrato un po’ in un mondo che mi ha molto stimolato creativamente perché ci sono dei software che consentono di fare cose che fino a una decina di anni fa erano impensabili.
Questo è stato un po’ il mio modus operandi: da una parte l’esplorazione di alcune possibilità tecnologiche e dall’altra utilizzare i suoni che mi circondavano. Per cui dai suoni della lavatrice, della lavastoviglie, la porta che cigola, le conversazioni con mia figlia, il rumore delle auto che passano vicino a casa, la bicicletta, insomma queste cose qua.
Com’è nata l’idea di registrare questi suoni?
Trovo che questi suoni, che non sono note, ritmi, hanno però un potenziale, una capacità di creare una suggestione molto forte e questo mi ha sempre affascinato.
Ho sempre pensato che per un musicista fosse importante ascoltare i suoni che si hanno attorno a sé. In più una cosa interessante è che ci sono dei modi per utilizzare il computer per cui puoi chiedere a lui di trasformare questi suoni in note, ritmi o armonie e il computer, quando lo fa, commette molti errori e questo fatto che il computer faccia una cosa, sbagliando, fa uscire dei risultati molto imprevedibili, che secondo me, sono molto interessanti.
Un’altra parola chiave per me è improvvisazione. Per improvvisazione intendo un modo di relazionarsi con la realtà che non teme l’errore e cerca l’imprevisto imprevedibile. Il fatto che il computer che, in teoria, è una macchina molto esatta, perfetta, restituisca delle cose imprevedibili, con molti “errori” sotto un certo punto di vista, è stato un altro elemento curioso. Ad esempio, una conversazione veniva registrata e da quello si generava tutto il materiale che fa parte del pezzo. Insomma, partendo da poco materiale, ho cercato di generare il più possibile e costruire con tutti questi ingredienti delle composizioni. È stato un po’ come quando si vuole cucinare con le poche cose avanzate che si hanno in casa.
Qual è il suono più strano che ti sei trovato in qualche modo a registrare?
Guarda, il suono strano che ho registrato non saprei dirti. Ho registrato tutto con il telefono per cui è tutto lo-fi, questo perché preferisco la velocità di cattura allo studio e alla raffinatezza. Però, a volte, ho fatto delle cose senza sentire nulla. Mi son messo a fare tutta una serie di operazioni, manovre, trasformazioni di suoni, parametri e poi mi son messo ad ascoltare cos’è uscito fuori. Insomma, ero davanti ad una macchina che generava dei suoni e questi erano sempre sorprendenti. Poi quando sono riuscito a costruire uno scenario, un mondo sonoro che mi sembrava stimolante, curioso, mi son messo ad improvvisare con il basso, che è il mio strumento.
Ascoltando il tuo disco ho visto che le varie tracce hanno un nome un po’ particolare: come mai questa scelta?
Mi piace molto giocare con le parole, proprio come i suoni. Trovo che un altro elemento interessante sia quello della deformazione. Quando usi il computer prendi un materiale sonoro e poi lo deformi fino a che non sai neanche più da che cosa sei partito. Con le parole ho fatto la stessa cosa. A volte sono delle parole inventate, a volte deformate, che però lasciano trasparire il significato originale. Mi piace il linguaggio, il suono e anche il fatto di deformare queste parole.
Tra l’altro è parte della nostra pratica aver a che fare con indirizzi web, password, codici… che poi sono delle cose molto importanti che hanno anche un significato molto preciso per cui, che siano un url o una password, se non ce l’hai giusta, non accedi.
Anche per quanto riguarda la durata dei vari brani, ho visto che si passa da pezzi che durano poco più di un minuto, ad altri che arrivano a 4, 5, 8 minuti. Anche qui, come mai questa scelta di proporre delle tracce così diversa l’una dall’altra?
Non c’è pianificazione. Quando un episodio mi sembrava concluso, basta, chiudevo il pezzo.
Poi ti devo dire, in questo, mi son messo a lavorare esplorando. I vari prezzi prodotti li ho messi in una cartella e li ho inviati ad un mio amico chitarrista che abita a New York. Mi ha aiutato a selezionarli e mixarli (che è la parte in cui si sistemano i livelli dei vari suoni delle diverse composizioni). Lui mi è stato molto d’aiuto perché ha dato una forma e selezione al materiale e soprattutto è stato bello poter condividere con qualcuno questo mio progetto.
Per quanto riguarda il nome del disco, invece com’è nato?
Era successo che mia moglie mi aveva mandato per errore un messaggio WhatsApp audio dove non c’era nulla, solo i suoni del suo ufficio (inviato probabilmente per sbaglio). Allora l’ho preso, come sfida, e con quei suoni volevo costruirci un pezzo. Questo brano alla fine non è stato incluso all’interno del disco, ma dato che mi piaceva il titolo di questo pezzo, ho deciso di sceglierlo come nome per l’album. Penso che questo titolo rappresenti perfettamente un po’ tutti gli elementi presenti nell’album, in particolare l’atmosfera di gioco e di sfida rispetto al materiale sonoro.
Se tu dovessi descrivere con tre aggettivi il tuo disco, quali sarebbero?
Direi curioso, evocativo e giocoso.
A proposito di evocativo, secondo te, a livello di emozioni, stati d’animo, sensazioni, quale tipo di effetto può evocare Onda M?
Io direi inquietudine (ride). “Purtroppo” nella musica che faccio c’è sempre questa dimensione di inquietudine e di assenza di una stabilità ed è un effetto che io sento necessario. Se c’è un ritmo, ho bisogno che ce ne siano due: uno che confonda l’altro. Questa dimensione, che per altre composizioni ho definito un po’ antigravitazionale, ti porta un po’ a non sapere nemmeno tu dove stai camminando. Perdi l’equilibrio, ti sbilanci. Questa dimensione è per me un po’ un gioco a muoversi in modo anticonvenzionale. Insomma, questo è quello che sento necessario da mettere nella musica.
Quali saranno i progetti futuri di Alessandro Fedrigo? Cosa mi puoi dire?
Questo disco vorrei che diventasse una live performance con anche dei visual. Poi adesso esce un EP (composto da quattro pezzi) con il mio amico chitarrista di New York e una cantante estone. È un lavoro fatto tutto da remoto, da casa, ma sempre sulla linea della deformazione dei suoni, evocazione e uso del computer. Al momento, in questi giorni, sono in giro con un quartetto che fa jazz. Poi andrò in Germania con gli XYQuartet…
Alessandro io ti ringrazio. Ascoltando il tuo album, in qualche modo mi è sembrato di ascoltare delle sonorità molto futuristiche, mi dava l’idea di stare nello spazio, dentro una navicella… è stato davvero un bel viaggio.
Mi fa molto piacere. È proprio il mondo che mi piacerebbe costruire: sali sulla navicella spaziale, ascolti dei suoni e poi ritorni sulla Terra.
Ringrazio Alessandro Fedrigo per averci raccontato del suo ultimo progetto musicale. Qui di seguito vi lascio alcuni link per continuare a seguirlo:
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