Emily in Paris, la popolare serie Netflix, ha riscosso un enorme successo sin dal suo lancio nell’ottobre del 2020. Netflix, nota per cancellare dopo la seconda stagione moltissime delle proprie produzioni, ha pubblicato la terza stagione di Emily in Paris e ha promesso l’uscita della quarta (probabilmente a dicembre del nuovo anno).
Nonostante ciò, molti spettatori hanno espresso il loro disappunto per come la serie rappresenta l’ambito del marketing, il mondo del lavoro e la vita a Parigi. Sebbene siano presenti alcuni spunti di marketing interessanti, essi sono sviluppati in modo superficiale. La trama e i personaggi sono criticabili, esagerati come i costumi di scena. Ma è proprio l’insieme di queste mancanze che ha portato alla serie tanta fama.
L’hate-watching è diventato un fenomeno legato a questo show. Come fece dire Oscar Wilde al suo Dorian Gray: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”.
Il marketing secondo Emily in Paris: aspettative vs realtà
Nella serie Emily Cooper (Lily Collins), la protagonista, riesce a convincere i clienti a mettere in pratica le campagne da lei inventate al momento senza alcuna preparazione.
In un mondo in cui il marketing è una professione altamente competitiva e dinamica, questa rappresentazione è decisamente irrealistica. Nelle campagne di marketing, è fondamentale scrivere piani editoriali dettagliati, definire obiettivi e analizzare il target di riferimento. Inoltre, spesso è necessario affrontare lunghe sessioni di brainstorming e preparare presentazioni complete ed efficaci per ottenere l’approvazione dei budget e dei progetti.
Emily è spesso attiva sui social. Essi sono rappresentati come il suo punto di forza sia in ambito lavorativo sia di personal branding.
I social media aiutano a entrare in contatto con i clienti attuali e potenziali, ad aumentare il riconoscimento del marchio, le vendite e i contatti. L’utilizzo dei giusti canali di social media, ampiamente utilizzati dai clienti, è fondamentale per raggiungere il proprio pubblico di riferimento in modo efficace.
Emily utilizza gli hashtag, il che è positivo, ma spesso ne sceglie di poco rilevanti per i suoi contenuti e vi inserisce l’apostrofo. Accenti, apostrofi e simboli non vengono riconosciuti, delimitano la parola che il social media identifica e sono quindi da evitare.
L’approccio di Emily consiste nell’utilizzo prevalente di immagini della sua vita quotidiana. La personalizzazione permette di dare al proprio profilo e a quello del marchio che si promuove un aspetto più genuino e di creare un rapporto con i follower più informale. Tuttavia, normalmente, i profili delle grandi aziende sono creati secondo delle strategie studiate ad hoc e i post devono essere approvati. Emily non esegue delle analisi previsionali, non segue delle regole, ma si affida semplicemente al suo istinto.
Nella seconda stagione vediamo Emily cambiare completamente le sue mansioni e quindi il suo lavoro. Si improvvisa organizzatrice di eventi/PR manager. Senza esperienza né opportuna formazione, combina qualche pasticcio, causa un danno d’immagine allo stilista Pierre Cadault (Jean-Christophe Bouvet), non trova una band per il party di Chopard e ingaggia la sua amica Mindy (Ashley Park) “pagandola in visibilità”. Nonostante la discutibile professionalità, Emily riesce sempre a cavarsela.
Il mondo del lavoro per Emily è roseo
La seconda stagione si era conclusa con una piccola “rivoluzione francese”.
Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) aveva deciso di lasciare Savoir e di fondare un’agenzia di marketing propria insieme al resto dei suoi dipendenti, ma non aveva considerato le difficoltà che l’apertura di una nuova attività comporta.
Emily aveva molto legato con i colleghi ed era stata felice di sapere che volevano che anche lei si unisse alla nuova squadra. Tuttavia, quando la terza stagione comincia, Emily non ha ancora deciso se restare a lavorare per Madeline Weaver (Kate Walsh), la sua capa di Chicago che ora gestisce Savoir, o se invece unirsi alla squadra di Sylvie nella nuova società.
In questa nuova stagione (spoiler alert) le decisioni di Emily sono molto prevedibili e non provocano alcuna conseguenza. Quando Emily finalmente fa la sua scelta, non riesce a trovare il momento opportuno per dirlo a Madeline e causa delle incomprensioni con i clienti, mettendo ulteriormente in cattiva luce Savoir, già sull’orlo del fallimento senza le competenze e i contatti di Sylvie. Madeleine decide di tornare a Chicago e ha un’accesa discussione con Emily, per la quale è stato fatto un biglietto di ritorno. Emily è quindi costretta a chiarirsi con Madeline e le dice di voler restare a Parigi. L’ex-capa sembra inizialmente arrabbiarsi, ma alla fine abbraccia Emily e le augura un futuro roseo nella Ville Lumière.
Emily Cooper è incredibile ma anche imbarazzante
Oltre all’immagine irrealistica del marketing, la trama e i personaggi di Emily in Paris sono criticabili.
Ad esempio, è difficile da credere che una grande impresa come quella di Chicago in cui lavora Emily scelga di inviare come rappresentante presso la sede parigina una persona scarsamente preparata e che non conosce nemmeno la lingua.
Emily non conosce il mondo degli influencer, quando arriva a Parigi ha meno di 50 follower su Instagram. Riesce a diventare influencer, mangia delle decorazioni a parete durante un evento, viene retwittata da Brigitte Macron, non usa mai TikTok, finisce sulla copertina di una rivista come una delle persone più influenti di Parigi… insomma tutto abbastanza strano.
“Stiamo parlando di una donna che indossa un berretto alla francese e una camicetta ricamata con delle piccole torri Eiffel per il suo primo giorno di lavoro e ammette allegramente di non conoscere la lingua. Nelle migliori delle ipotesi, è imbarazzante. Nel peggiore dei casi è un’incarnazione vivente dell’imperialismo culturale statunitense. Insomma, Emily è l’antagonista della sua stessa serie, a prescindere dai suoi dubbi comportamenti morali.” ha scritto su The Conversation la professoressa di Film Studies al King’s College di Londra Catherine Wheatley.
Uno stile di vita irrealistico: Emily non bada a spese
Come riportato dal Daily Mail, un gruppo di esperti di finanza di New Casinos ha provato a fare i conti in tasca a Emily. È stato stimato che Emily possa percepire uno stipendio di circa 47.000 $ annui, ma il suo stile di vita sembra essere decisamente fuori budget.
Solo per l’affitto in centro a Parigi Emily spenderebbe circa 33.000 $ l’anno, a questa somma bisogna aggiungere le spese per gas ed elettricità. Tra colazioni instagrammabili, pranzi e cene quasi sempre fuori casa Emily sostiene costi non indifferenti.
L’abitudine più costosa di Emily di sicuro sono i vestiti. Emily ha dei gusti decisamente americani, le piace farsi notare e il suo armadio è pieno di pezzi firmati. Da Prada a Valentino, passando per Christian Louboutin e Balmain, Emily è una fashionista che non bada a spese. Il capo più costoso che ha indossato? La giacca gialla firmata Vassilis Zoulias che ha indossato nel quarto episodio della seconda stagione, che da sola costa più di 53.000 dollari.
Ma quindi a quanto ammontano le spese mensili di Emily? Secondo gli esperti il totale è di 10.005 $, cifra che Emily con il suo ipotetico stipendio proprio non si può permettere.
Il fenomeno dell’hate-watching: Emily in Paris ha successo ma sembra non piacere a nessuno
Emily in Paris è diventata una delle serie più guardate su Netflix, probabilmente anche grazie alle sue criticità che hanno fatto in modo che se ne parlasse molto. Si è così sviluppato il fenomeno dell’hate-watching, ovvero molti spettatori hanno guardato la serie senza apprezzarne trama e personaggi, ma per trarre divertimento dalla critica dei cliché proposti.
Emily in Paris è il genere di storia che ci permette di escludere che succederà davvero qualcosa di scioccante e che quindi possiamo seguire distrattamente. Non c’è una crescita della protagonista, un vero ostacolo o qualche morale di fondo. Emily è un’americana a Parigi che sorride dolcemente mentre tutto si risolve sempre per il meglio.
Matthew Gilbert, giornalista del Boston Globe, ha spiegato così il rapporto di amore e odio che prova nei confronti di Emily in Paris: “Avevo voglia di guardare qualcosa di carino e stupido, ma soprattutto carino: dopotutto, la serie è un tour di Parigi nella sua forma più smagliante”.
Come la Senna che scorre, i vicoli costellati di Caffé e la musica New Age, Emily in Paris è una serie lenta, rassicurante e un po’ monotona. È proprio questa sua assenza di drammaticità, il fatto che sia così prevedibile, che rasserena lo spettatore e impedisce di odiare veramente la serie.
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