Intervista | Miriam Colombo, alla scoperta delle nanoparticelle


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Miriam Colombo è una ricercatrice in Biochimica clinica presso il dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’università di Milano-Bicocca. Fin dalla sua tesi di laurea la dottoressa Colombo si è occupata di nanoparticelle e, in particolare, del loro utilizzo nella cura di tumori e patologie infiammatorie. Dal 2015 dirige il NanoBioLab e collabora con AIRC a diversi progetti di ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie.

 

Come prima domanda le chiedo che studi ha intrapreso prima di diventare una ricercatrice di questo dipartimento e cosa l’ha portata a voler fare ricerca in Italia.

Ho studiato CTF all’università Statale di Milano e, quando si è trattato di scrivere la tesi, ho incontrato un professore e ricercatore del CNR, il professor Davide Prosperi, con cui oggi lavoro presso l’università Bicocca. Nel 2008 lui lavorava con le nanotecnologie per applicazioni biomediche e mi aveva raccontato dei progetti che stava seguendo. La nanomedicina ha subito suscitato la mia curiosità e quindi ho deciso di svolgere la tesi sperimentale nel suo laboratorio.

La mia idea era quella di fare la farmacista, ma durante il periodo di tirocinio ho capito che il lavoro in farmacia era troppo monotono per me, mentre quello in laboratorio mi appassionava molto e ho quindi scelto di proseguire gli studi con un dottorato in Biologia in Bicocca.

Durante il dottorato ho anche lavorato per sei mesi all’estero, in Germania, presso il laboratorio di nanomedicina del professor Wolfgang Parak. Questa esperienza mi ha permesso di imparare molte tecniche e metodi di trattamento delle nanoparticelle e di instaurare con il professore una collaborazione che dura tuttora. Lavorando in Germania ho anche un po’sfatato il mito della ricerca all’estero perché, a differenza di quello che accade in Italia dove ho un rapporto diretto e costante con il capo del mio laboratorio, all’estero il professore era spesso impegnato in congressi e quindi lo vedevamo raramente e comunicavamo con lui solo attraverso report settimanali.

Oggi sono una ricercatrice di tipo B al secondo anno del mio percorso triennale. Ho ottenuto da poco l’abilitazione scientifica nazionale e al terzo anno verrò valutata da una commissione per il ruolo di professore associato.

 

Dalla sua tesi in poi ha sempre lavorato con le nanoparticelle, potrebbe spiegare in poche parole di cosa si tratta?

Le nanoparticelle sono particelle di dimensioni nanometriche (circa 10-9 metri), quelle che usiamo noi sono di metalli (ossido di ferro, oro o argento) oppure polimeriche di PLGA o di altri polimeri oppure particelle bio-mimetiche ovvero fatte di proteine auto-assemblanti.

Noi sintetizziamo le nanoparticelle, le funzionalizziamo con degli agenti di targeting che servono per indirizzare le particelle ad un sito specifico e le carichiamo con un farmaco. Il vantaggio di queste nanoparticelle è che agiscono da shuttle per il farmaco in modo tale che questo non interagisca con le cellule sane del corpo causando effetti collaterali e tossicità, ma che abbia una massima efficienza di accumulo solo a livello del sito di interesse.

Le nanoparticelle possono essere, inoltre, utilizzate come agenti di contrasto per la risonanza magnetica, per localizzare un tumore ad uno stadio precoce e con una tecnica non invasiva.

 

Attualmente di cosa si sta occupando?

Ultimamente gli studi su cui ci stiamo focalizzando consistono nell’associare le nanoparticelle alla terapia genica: trasporto, attraverso le particelle, di sequenze geniche che possano indurre l’espressione di proteine diverse. Uno dei progetti finanziati da AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) a cui stiamo lavorando consiste, infatti, nel trasportare il DNA di una tossina che, una volta espressa dalle cellule, induce la morte delle sole cellule tumorali.

L’altro aspetto che a me interessa molto, anche legato al mio background accademico, è la somministrazione delle particelle attraverso vie alternative a quella endovenosa. In uno degli ultimi studi, abbiamo caricato le nanoparticelle con insulina -utilizzata per la cura del diabete- e le abbiamo somministrate oralmente tramite pellets. I pellets sono una formulazione farmaceutica che presenta dei vantaggi rispetto alle comuni compresse, le quali a seconda di come stai e di cosa hai mangiato, hanno un assorbimento più o meno veloce, i pellets invece, essendo sferette molto piccole, passano direttamente il piloro riducendo così questo problema.

Le altre vie che utilizziamo per la somministrazione sono quella inalatoria, per il trattamento di patologie infiammatorie localizzate presso i polmoni, e quella topica attraverso l’uso di creme contenenti le nanoparticelle.

L’altro grande progetto che stiamo portando avanti, anche in collaborazione con un gruppo di immunologi del nostro dipartimento, riguarda una particella di ossido di ferro o polimerica che è stata brevettata a seguito dell’efficacia manifestata nel trattamento del rigetto dei trapianti, dell’artrite reumatoide e delle patologie infiammatorie. Ora stiamo studiando il meccanismo preciso di funzionamento di questo nanofarmaco, poi passeremo a studi preclinici e clinici e speriamo alla sua commercializzazione.

 

Ha qualche consiglio da dare agli studenti che si avvicinano al mondo della ricerca?

Spesso gli studenti, compresi quelli presenti nel mio laboratorio, sono spaventati dall’idea di iniziare un dottorato perché credono di sviluppare capacità che non verranno valorizzate una volta usciti dall’università e ottenuto un lavoro in azienda. Per quello che è la mia esperienza, piuttosto che fare un discorso basato sulla stabilità economica a lungo termine, consiglierei di seguire le proprie passioni, capacità e competenze. Tre anni di dottorato non impediscono, secondo me, di seguire altre strade dopo, anche se rispetto al fare ricerca in azienda, il vantaggio di rimanere in università è la libertà di investire in alcuni progetti piuttosto che in altri seguendo anche la propria creatività.

 

Come le ho accennato per e-mail la sto intervistando nell’ambito di uno stage che sto frequentando presso Radio Bicocca. Volevo chiederle se anche lei durante l’università ha intrapreso attività extracurricolari e se le ritiene importanti durante la formazione di uno studente.

Personalmente non ricordo di aver fatto particolari attività che uscissero dal mio percorso di studi, però credo che siano importanti per gli studenti in quanto permettono di sviluppare capacità spendibili poi nel mondo del lavoro. Per esempio, nel lavoro del ricercatore è compresa la fase di scrittura dei progetti e degli articoli scientifici, quindi avere una buona capacità di scrittura e di sintesi è fondamentale.

 

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Su facebook e instagram sono presenti profili dedicati al NanobioLab, da lei gestito, in cui pubblicate foto di momenti in laboratorio ma anche di pranzi e feste tra colleghi. Come è nata l’idea della pagina e quale è lo scopo?

L’idea delle pagine sui social network è nata dal fatto che nel nostro gruppo, formato da circa trenta persone, ci siamo resi conto che è molto bello e utile creare dei momenti in cui ci si ritrova tutti insieme. Ogni due settimane, infatti, ci incontriamo tutti durante un lab-meeting in cui a turno ognuno descrive il suo progetto. Questo momento è utile sia per chi espone perché riceve suggerimenti degli altri e si esercita nel parlare in pubblico e sia per chi ascolta che scopre così nuove ricerche da cui può prendere spunto. Organizziamo spesso anche feste per compleanni, per qualcuno che ha finito gli esami o si laurea e quindi ci piaceva l’idea di rendere visibili queste attività di gruppo. I contenuti delle pagine servono sia per mostrare quello che facciamo ad amici e familiari che lavorano in tutt’altro ambito, ma anche per condividere articoli scientifici o eventi come raccolte fondi di AIRC per chi lavora nel settore.

 

Come ultima cosa volevo chiedervi se voi ascoltate musica in laboratorio e se si avete mai ascoltato Radio Bicocca?

A volte sì e a volte no. Ad esempio, durante attività che non richiedono particolare attenzione, è piacevole ascoltare musica. Molto spesso scegliamo playlist su piattaforme digitali piuttosto che la radio, ma adesso che ho saputo di Radio Bicocca proveremo di certo ad ascoltarla.

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