Marco Carminati è nato a Milano nel 1961 e si è laureato in storia dell’arte medievale e moderna all’Università Cattolica di Milano. Ha approfondito la storia della pittura e della miniatura del Rinascimento e ha al suo attivo alcune pubblicazioni in materia, dedicate ad esempio a Piero della Francesca, alla Gioconda di Leonardo da Vinci o al miniatore Maestro B.F. Giornalista professionista, dal 1990 lavora all’inserto culturale Domenica de Il Sole 24 0re ed è caposervizio, responsabile delle pagine di arte, architettura, design e beni culturali. Da alcuni anni conduce su Radio 24 la trasmissione Luoghi d’arte, dedicata alla scoperta delle bellezze artistiche dell’Italia.
Volevo chiederle prima di tutto come mai ha scelto di fare il giornalista dopo aver studiato storia dell’arte.
Non è stata esattamente una scelta, ma un’occasione che si è presentata. Mi sono laureato nel 1986 e, al ritorno dal servizio militare, il supplemento della domenica del Sole 24 Ore stava espandendo il numero di pagine, passando da un numero esiguo ad uno un po’ più corposo e un mio professore, che già lavorava come collaboratore per le pagine di arte, mi disse che c’era la possibilità di iniziare un lavoro se ero interessato. Quindi ho iniziato a fare il giornalista più per curiosità che per mero interesse e mi sono trovato in una situazione particolarmente felice perché il supplemento della domenica aveva delle caratteristiche di alto profilo culturale, in quanto i collaboratori erano quasi tutti professori che io avevo incrociato durante la mia carriera universitaria, alcuni famosissimi come Vittore Branca e Giuseppe Billanovich. Poi, come si dice, l’appetito è venuto mangiando, pian piano mi sono reso conto che quello del giornalista è un mestiere molto interessante e dinamico, per cui all’inizio bisognava studiare meno rispetto alla preparazione micidiale necessaria per sostenere un concorso per diventare professore universitario o anche più semplicemente insegnante. Quindi ho trovato un posto di lavoro senza dover fare tutti questi concorsi, è stata un’occasione particolarmente felice, di quelle che ogni tanto capitano e così ho cominciato. Tra l’altro non avevo abbandonato del tutto l’idea degli studi, infatti i primi anni sono riuscito anche a pubblicare due libri, uno su un miniatore del 1500 e l’altro su un pittore del 1500 che erano poi gli argomenti che avevo studiato. Intanto al giornale ho imparato tante cose e fatto esperienze diverse da quella universitaria.
Come è possibile avvicinare anche le persone più giovani e gli studenti al giornalismo?
Innanzitutto io credo che comunque ognuno debba seguire un percorso di studi in linea con i propri interessi, perché naturalmente presso un giornale, anche il nostro che è un giornale economico, lavorano anche laureati in filologia, uno di quelli che si occupano di economia è un latinista sopraffino, ci sono degli archeologi e degli storici dell’arte nascosti tra di noi, quindi non è esattamente necessario intraprendere una serie di studi specifici per questa professione, anche se oggi ci sono delle facoltà e dei corsi di studio che indirizzano di più gli studenti. Comunque in generale è importante avere un background culturale molto solido e sapere tante cose: dalla politica internazionale ad una bella infarinatura di giurisprudenza, poi bisogna conoscere un po’ la storia e avere la curiosità e il fiuto per rincorrere le notizie, questo comunque è ancora un requisito fondamentale, certo se uno sa tante cose riesce a capire più facilmente se quella è una notizia reale oppure è una mezza bufala. Credo che sia necessario avere una formazione di fondo, poi magari fare come fate voi cioè già nell’ambito universitario cominciare a cimentarsi con quelli che sono i mezzi che avete a disposizione, per capire se fare questo lavoro è una cosa che vi interessa. Il punto di partenza è sicuramente avere una buona base perché, dovendo spesso prendere decisioni in modo autonomo, è bene conoscere un po’ tutto. La formazione universitaria è fondamentale come momento a disposizione per approfondire più che si può, quindi penso che uno non perda tempo se studia e se intraprende un corso universitario.
Conduce su Radio 24 il programma Luoghi d’arte. Come riesce a rendere le opere d’arte e le bellezze artistiche dell’Italia argomento di un programma radiofonico quando chi ascolta non le sta in quel momento osservando?
Io parto da presupposti abbastanza semplici: il linguaggio deve essere comprensibile e non bisogna tentare disperatamente di descrivere qualcosa che chi ascolta non può vedere. Se io non descrivo dettagliatamente la Gioconda, ad esempio, cosa posso raccontare che sia appetibile per gli ascoltatori? Per esempio le disavventure della Gioconda che è stata presa di mira dai papi che hanno cercato di danneggiarla, che durante la guerra ha fatto un viaggio rocambolesco per essere salvata dai vari bombardamenti. Posso cercare di raccontare chi era questa donna che Leonardo ha ritratto, raccontare storie che stanno intorno a questo oggetto che deve essere qualcosa che tutti quanti più o meno abbiamo in mente. Ad esempio se decido di parlare della cupola di San Pietro non la descrivo perché bene o male tutti ce l’avete presente, però vi dico che ha rischiato di crollare e quindi sono stati presi una serie di provvedimenti e c’erano molti architetti pronti a costruire la loro cupola, non vedevano l’ora che crollasse perché almeno l’avrebbero progettata e realizzata loro invece di Michelangelo. Bisogna raccontare tutti questi aspetti che sono si aneddotici perché poi la storia dell’arte la si comprende magari con una lettura formale, però fanno parte delle avventure delle opere d’arte e studiando la storia dei nostri beni culturali durante la guerra ci si accorge che noi conserviamo alcune opere per miracolo. Questi aspetti sono quelli che io tendo a raccontare in modo efficace, piuttosto che la descrizione formale di un’opera d’arte, soprattutto perché gli ascoltatori non la vedono in quel momento. Raccontare storie attorno alle opere d’arte, questo è efficace anche dal punto di vista radiofonico.
Come mai molti film degli ultimi anni che raccontano la vita e le opere di pittori e scultori stanno registrando un così grande successo di pubblico?
Perché molte delle vite di questi artisti sono intense, avventurose e drammatiche il più delle volte. C’è un bellissimo libro di Rudolf Wittkower che si intitola Nati Sotto Saturno dedicato alle patologie degli artisti. Noi diciamo sempre che una persona un po’ strana è un artista, in quanto spesso gli artisti hanno avuto delle vite intense e problematiche perché sono stati incompresi per esempio. Ci sono alcune vite che sembrano dei romanzi già confezionati e quindi hanno successo se tramutate in film. Tenuto conto che è anche l’occasione di parlare e mostrare le opere d’arte in cui il cinema aiuta moltissimo ad entrare, anche se sappiamo che alcune descrizioni magari non sono proprio accuratissime è comunque un mezzo per poter raccontare un artista e il suo lavoro.
Ringraziamo Marco Carminati per la sua disponibilità e vi lasciamo il link per poter riascoltare la trasmissione Luoghi d’arte.
Caro Carminatii,
lei più e più volte, presumo, si è dato da fare per esaltare il vigore artistico della mistificazione di un fatto accaduto Il 26 aprile del 1937, a Guernica. Era un lunedì, giorno di mercato. Sembra però che quel lunedì il mercato non fosse stato organizzato perché, per precauzione, le forze repubblicane lo avevano sospeso.
91 furono i morti che, raffrontati ai 300.000 di Hiroshima e Nagasaki, hanno il sapore di una pioggerellina rinfrescante.
Legga, la prego e, poi, se ha qualcosa da dire, o da ridire, o da … RIDERE, sa dove
trovarmi. Ma quel che ha da dire, o da ridire, non siano improperi o slogan o frasi
fatte, siano CONTRODEDUZIONI. Sempre che ci riesca e controbattere le mie
verità (non PRAVDA) che, in quanto tali, non ammetterebbero commenti o accettazione.
LA VERITÀ È, E BASTA
Cordialità
Ernesto Scura
P.S.
PICASSO, DOPO LO SPLENDIDO PERIODO BLÙ ERA DIVENTATO UN PERFIDO,
CINICO, AVIDO DIVORATORE DI SOLDI
GUERNICA, SOLO FACCE STORTE? NO, SOLO GHIRIBIZZI.
E non lo dice Ernesto ma Pablo
ESAMINIAMO IL GiGANTESCO FAMOSO “POSTER” DI PICASSO
(non è un quadro ma un manifesto in bianco e nero).ATTENZIONE:
L’UOMO A TERRA CON IN PUGNO CIÒ CHE RESTA DI UNA SPADA,
SECONDO L’ADDOMESTICATA VULGATA DI SINISTRA RAFFIGURA
“UN SOLDATO CADUTO SOTTO I FEROCI BOMBARDAMENTI
NAZIFASCISTI” E,SECONDO LA CRITICA PIÙ RIGOROSAMENTE
COMUNISTA (democrtica e socialitaria) NON PUÒ CHE ESSERE
UN MILIZIANO ANTIFRANCHISTA. MA DOVE, MA QUANDO.
(Addirittura,non ne era al corrente nemmeno Picasso che dovette
apprenderlo da Carlo Giulio Argan, il famoso critico d’arte, quello che
garantì, come autentiche opere di Modigliani, quelle teste scolpite
col martello pneumatico,che un gruppetto di allegri studenti burloni
e buontemponi fece “scoprire” nel greto di un torrente a Livorno).
Picasso voleva solo dipingere un poster per commemorare la morte
del suo amico, il torero Joselito, morto sotto il “bombardamento”
delle…”cornate” del toro salvo, poi, cambiargli il titolo in GUERNICA,
per venire incontro alle richieste dell’UNIONE SOVIETICA, tramite il
governo anarconcomunista spagnolo, che gli aveva commissionato
un’opera che denunciasse al mondo la “ferocia dei bombardamenti
nazifascisti sulla popolazione inerme”.
Picasso fidando, giustamente, nella incomprensibilità dei suoi strani
“ghiribizzi”, buoni per tutte le “stagioni” e per l’ormai scontata
imbecillitá dei critici e di quel vasto pubblico di “intenditori”, capaci di
apprezzare e magari acquistare qualsiasi cacata, intendo proprio la
merda, purchè firmata Picasso.Tanto, poi, ci avrebbero pensato i critici
ad attribuirgli le giuste ed appropriate “ispirazioni”.
Sccome il compenso sovietico era cospicuo ed allettante, e siccome
Picasso era sempre avido di soldi (fossero franchi, dollari o rubli ) e,
siccome non aveva “tempo da perdere”, non gli costò nulla cambiare
titolo al poster e invece che a Joselito fu dedicato a …GUERNICA.
Bastò aggiungere una lampadina accesa, quella che campeggia in
alto, nel poster, riuscendo a far fesso persino un delinquente feroce,
agguerrito e smaliziato come STALIN.
Dopo di che la schiera di stravaganti e stupidi critici è sempre pronta
a dargli, con l’imprimatur, una giusta collocazione politica e…artistica.
TENETE CONTO CHE PICASSO, OLTRE AD ESSERE UN PITTORE
CUBISTA, ERA ANCHE UN CONVINTO SIMBOLISTA CHE NON HA
MAI DISDEGNATO DI RAFFIGURARE (anche se a modo suo e con
l’intento di “prendere per il culo”) GLI ELEMENTI PIÙ SIGNIFICATIVI
DEI SUOI SOGGETTI, SENZA MASCHERATURE ( la colomba della
pace doveva essere individuabile : una colomba.Per far felice Stalin).
Un torero rimaneva un torero, anche se col naso al posto dell’orecchio.
Una donna, sempre una donna, anche se col pube al posto della narice)
QUEL SOLDATO, SE SOLDATO DOVEVA ESSERE, DOVEVA ESSERLO
DI QUEL CONTESTO E NON DELL’EPOCA DEI GLADIATORI.(appunto
il realismo sovietico).
CHE SENSO AVREBBE AVUTO METTERE IN PUGNO AD UN
FANTOCCIO IN BORGHESE QUEL MONCHERINO DI SPADA (secondo
gli sciocchi critici starebbe ad indicare che è un soldato. Ed allora,
vivaddio, mettiamogli in mano una pistola ed in testa un berretto con
la stella rossa).
SECONDO MOLTI “GRANDI” CRITICI, PICASSO, IN QUELLA SUA
COMPOSIZIONE, SI ERA ISPIRATO AL TEMA DELLA RAPPRESAGLIA,
OPERATA DALL’INVASORE, SPLENDIDAMENTE RAFFIGURATA DA
GOYA NELLA FUCILAZIONE DI PATRIOTI SPAGNOLI DA PARTE
DEGLI OPPRESSORI NAPOLEONICI.
MA LÌ, DAI VESTITI DEI MARTIRI E DALLE DIVISE DEI FUCILATORI SI
CAPISCE BENISSIMO CHI È VITTIMA, DI CHI, E CHI AGUZZINO, DI CHI.
MA VIA,SIAMO SERI. LA CRETINAGGINE, L’INSULSO ACCODARSI E
LA COMODA E SICURA ASSUEFAZIONE ALLA VULGATA VINCENTE,
A ME PROCURANO UN FASTIDIO…
SE RIESCO A CAPIRE, MA NON A GIUSTIFICARE, L’AVIDITÁ DI QUEL
MARPIONE DI PICASSO, NON RIESCO ASSOLUTAMENTE A POTER
SOPPORTARE QUEI POVERI DI SPIRITO CHE NON SANNO MAI
METTERE INSIEME UN PO’ DI IDEE PROPRIE E DEVONO RICORRERE,
SENZA UN MINIMO DI SPIRITO CRITICO, ALLA PIÙ CHE TRANQUILLA
COPERTURA DELLE STRONZATE DI CERTA CARTA STAMPATA.
ASCOLTA, LETTORE, CHIUDI PER UN ATTIMO GLI OCCHI, IMMAGINA
DI ESSERE SULLE TRIBUNE DI UNA PLAZA DE TOROS, IMMAGINA
JOSELITO MORENTE PER LE CORNATE DEL TORO, RIVERSO A TERRA,
CON IN PUGNO, ANCORA, I RESTI DELLA SUA ESPADA, IMMAGINA
LE URLA DELLA FOLLA ESTERREFATTA PER QUELLA TRAGICA SCENA,
IMMAGINA ANCORA LE MANI LEVATE AL CIELO DELLE DONNE
“DOLENTI” (le prefiche) PER LA MORTE DEL MITICO TORERO,CERCA
ANCORA DI RICORDARE I VERSI DI GARCIA LORCA PER L’ANALOGO
PATHOS SUSCITATO DALLA MORTE DI IGNAZIO E,QUANDO APRIRAI
GLI OCCHI, FORSE, FINALMENTECAPIRAI L’ESSENZA DI QUEL “CAVOLO
A MERENDA” CHE VUOL ESSERE QUELLA LAMPADINA (elettrica)
ACCESA CHE ALTRO NON PUÒ ESSERE SE NON … “IL NUOVO” CHE
AVANZA IN CONTRAPPOSIZIONE AL “VECCHIO” (il lume a petrolio).
Il tutto fa parte di una simbologia adottata dagli artisti comunisti quando
volevano significare il nuovo “illuminante” che avanza ( il comunismo)
contro il vecchio che “non risplende più di tanto” (l’oscurantismo).
In lingua russa :”STAROE I NOVOE”, appunto come il titolo del film, di
servile propaganda di regime, del regista Eisenstejn.
IL TORO, per i critici “illuminati”, quelli un tanto al chilo, rappresenta il
MINOTAURO, simbolo della feroce dittatura fascista,mentre noi,
che fessi non siamo, sappiamo che voleva essere il toro che, con le sue
cornate,abbattè JOSELITO.
IL CAVALLO, col collo contorto,per i “critici, sempre un tanto al chilo”,
vuol essere il popolo sofferente sotto il giogo della dittatura, ma noiche,
come sempre, fessi non siamo,sappiamo,essere il cavallo dei “picadores”,
quelli che nella corrida hanno il compito di pungolare il toro per indurlo
ad essere più feroce.
LE DONNE IN GRAMAGLIE, con le mani alzate al cielo, per i critici(sempre
un tanto,al chilo), vorrebbero essere le vedove dei caduti nell’atto di
invocare la maledizione di Dio sugli autori della strage del bmbardamento,
ma noi che, come sempre, fessi no siamo, sappiamo essere le “dolenti”
prefiche che piangono,la dipartita del torero.
A PICASSO, questa operazione di “copia e incolla” fruttò 300.000 pesetas
erogate, CASH, dall’URSS (qualcosa come 2.000.000 di euro attuali).
TANTO É COSTATA QUELLA LAMPADINA…..ACCESA.
Ernesto SCURA
P.S.
Se qualcuno vuol mettere in dubbio la veridicità della mie asserzioni,
propongo la lettura di due documenti sconvolgenti :
– Un brano di Matteo Perrini,pubblicato sul “Giornale di Brescia”,sulla base
di una lettera olografa che lo stesso Picasso aveva scritto al famoso critico
d’arte Bernard Berenson,definendo “GHIRIBIZZI” i suoi scarabocchi.
– L’intervista che, nel 1951, Pablo Picasso concesse al nostro famoso scrittore
GIOVANNI PAPINI.
E PICASSO, BERENSON E PAPINI, OLTRE CHE GALANTUOMINI E GENTE
D’ONORE SONO DEGNI DI CREDIBILITÀ, SPECIALMENTE PICASSO
In entrambi i documenti Picasso sente il bisogno di “confessarsi”, certamente
in considerazione dell’alta valenza culturale dei due emeriti personaggi.
– LETTERA DI PICASSO A BERNARD BERENSON
Pablo Picasso in una lettera al suo amico Bernard Berenson, famoso critico d’arte, pubblicata poi nella Neue illustrierte Wochenschau del 24 ottobre 1971 fa dellle sconcertanti rivelazioni.
In essa l’artista più famoso del nostro tempo si duole, e con profonda amarezza, di aver ben presto dato al pubblico quello che il pubblico gli chiedeva, rinnegando con intimo disgusto, o comunque mettendo tra parentesi, le esigenze più schiette dell’arte. Le sue dichiarazioni sono così significative che meritano di essere citate per intero. «Ho soddisfatto questi amatori del nuovo e dell’eccentrico con i ghiribizzi che mi passavano per la testa e quanto meno li comprendevano tanto più li ammiravano! Divertendomi con questi giochetti divenni ricco e celebre, e questo assai presto. Ma quando sono solo con me stesso, non ho il coraggio di ritenermi un artista nel significato grande e nobile della parola. Sono solo un pubblico burlone che capisce il suo tempo e che ha sfruttato la stupidità, la vanità e l’avidità dei suoi contemporanei»
– PABLO PICASSO : “ Io non sono un artista”
Da Giovanni Papini “Il libro nero” 1951 Vallecchi Editore
VISITA A PICASSO”
Antibes, 19 Febbraio
Molti anni fa avevo comprato a Parigi sei quadri di Picasso, non perché mi piacessero ma perché eran di moda ed io potevo servirmene per fare dei regali alle signore che m’invitavano a pranzo.
Ma ora, trovandomi solo sulla Côte d’Azur e non sapendo come passar le giornate, m’è venuta la voglia di vedere in viso l’autore di quelle pitture. Vive qua vicino, in una villa sul mare, con una giovanissima e florida moglie. Ha, credo, sessantacinque o sessantasei anni ma è di buon sangue catalano, forte e ben formato, di bel colore e di bell’umore.
Michilini, RAPE BIANCHE, CAROTE E PICASSO, 2004, olio su tela, cm.60×50
S’è parlato, sulle prime, di certi comuni conoscenti ma ben presto il discorso s’è fermato sulla pittura. Pablo Picasso non è soltanto un artista felice ma anche un uomo intelligente, che non ha paura di sorridere, a tempo e a lungo, delle teorie dei suoi ammiratori.
-Voi non siete un critico né un esteta, mi ha detto, e con voi posso parlare liberamente. Da giovane, come tutti i giovani, ho avuto anch’io la religione dell’arte, della grande arte. Ma poi, col passar degli anni, mi sono accorto che l’arte, come s’intendeva fino a tutto l’Ottocento, è ormai finita, moribonda, condannata e che la cosiddetta “attività artistica”, con la sua stessa abbondanza, non è che la multiforme manifestazione della sua agonia.
Gli uomini vanno sempre più disaffezionandosi di pitture, sculture e poesie, nonostante le contrarie apparenze. Gli uomini di oggi hanno messo il loro cuore in tutt’altre cose: le macchine, le scoperte scientifiche, la ricchezza, il dominio delle forze naturali e delle terre del mondo. Non sentono più l’arte come bisogno vitale, come necessità spirituale, a somiglianza di quel che in altri secoli accadeva. Molti di loro seguitano a fare gli artisti e ad occuparsi d’arte, ma per ragioni che con l’arte vera hanno poco a che vedere, cioè per spirito d’imitazione, per nostalgia della tradizione, per forza d’inerzia, per amore dell’ostentazione, del lusso, della curiosità intellettuale, per moda o per calcolo. Vivono ancora, per abitudine e snobismo, in un recente passato, ma la grande maggioranza, in alto e in basso, non ha più una sincera e calda passione per l’arte, che considera tutt’al più come spasso, svago e ornamento.
Michilini, PICASSO, LA RIVOLUZIONE E DONNA SOFIA, 2006, olio su tela, cm80x80
A poco a poco le nuove generazioni, innamorate di meccanica e di sport, più sincere, più ciniche e più brutali, lasceranno l’arte nei musei e nelle biblioteche, come incomprensibili e inutili relitti del passato.
“ Un artista che vede chiaro in questa fine prossima, come è avvenuto a me, cosa può fare? Troppo duro partito sarebbe quello di cambiar mestiere, e pericoloso dal punto di vista alimentare. Ci sono, per lui, soltanto due strade: cercare di divertirsi e cercare di far quattrini.
“ Dal momento che l’arte non è più il cibo che alimenta i migliori, l’artista può sfogarsi a suo talento in tutti i tentativi di nuove formule, in tutti i capricci della fantasia, in tutti gli espedienti del ciarlatanismo intellettuale. Nell’arte il popolo non cerca più consolazione ed esaltazione; ma i raffinati, i ricchi, gli oziosi, i lambiccatori di quintessenze, cercano il nuovo, lo strano, l’originale, lo stravagante, lo scandaloso. Ed io, dal cubismo in poi, ho contentato questi signori e questi critici con tutte le mutevoli bizzarrie che mi son venute in testa, e meno le capivano e più mi ammiravano. A forza di spassarmela con tutti questi giochi, con queste funambolerie, con i rompicapo, i rebus e gli arabeschi, son diventato celebre abbastanza presto. E la celebrità significa, per un pittore, vendite, guadagni, fortuna, ricchezza.
E ora, come sapete, son celebre, son ricco.
Ma, quando son solo, fra me e me, non ho il coraggio di considerarmi un artista nel senso grande e antico della parola. Veri pittori furono Giotto e Tiziano, Rembrandt e Goya: io sono soltanto un amuseur public, che ha capito il suo tempo e ha sfruttato meglio che ha saputo, l’imbecillità, la vanità e la cupidigia dei suoi contemporanei. E’ un’amara confessione, la mia, più dolorosa di quel che vi possa sembrare, ma ha il merito di essere sincera.
“et après ça, ha concluso Pablo Picasso, allons boire”.
La conversazione non è finita qui ma non ho la pazienza di registrare gli altri spregiudicati paradossi che sono usciti dalle labbra del vecchio pittore catalano.
Ernesto SCURA