Intervista | Maria Antonietta e le sue “Sette ragazze imperdonabili”

Maria Antonietta torna in scena per presentare il suo primo libro. Per l'occasione abbiamo avuto l'opportunità di intervistarla, di parlare del suo percorso musicale e delle sue passioni.


Maria Antonietta

La cantautrice Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta, ha recentemente pubblicato Sette ragazze imperdonabili, un libro d’Ore laico, un testo di devozione, composto da racconti, poesie, collage e dedicato alle donne che sono diventate le sue maestre di vita.

La cantautrice marchigiana, che ha all’attivo tre album di musica indie-rock, riprende e raccoglie in questo volume la sua passione legata alla religione, alla natura, alla poesia e alla ribellione, che caratterizza le sue canzoni e, sopratutto, le protagoniste del romanzo.

Queste sette ragazze, alcune più note, altre meno, sono: Cristina Campo, Etty Hillesum, Antonia Pozzi, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Marina Cvetaeva e Giovanna d’Arco. Tutte hanno avuto il coraggio di ribellarsi alle imposizioni della società, lottando per esser libere, contro tutto e tutti, come racconta Letizia nella prefazione del libro: “Mi hanno insegnato che quello che dici e che fai esiste, e ha un valore, anche senza un pubblico, che non è l’approvazione di qualcuno che rende valido e vero il tuo lavoro, o quello in cui credi, o quello per cui combatti”.

Ciao Letizia, è un piacere conoscerti e avere l’opportunità di fare quattro chiacchiere con te. Come stai, ti stai preparando per il reading musicale?

Ciao, sì, stiamo facendo le prove per il reading musicale, dove sarò accompagnata dal musicista Daniele Rossi. Debuttiamo il 19 maggio ad Urbino, quindi non manca molto e tra presentazioni del libro, showcase e impegni vari il tempo è sempre davvero poco e si fa quel che si può.

La scrittura del libro si è realizzata in contemporanea con il tuo ultimo disco Deluderti, pubblicato lo scorso anno. In entrambi mostri il tuo personaggio, i tuoi ideali. Da dov’è nata questa esigenza di sperimentarti in sotto un’altra forma di scrittura?

Avevo già in mente di scrivere un libro da tanto tempo. Questo si inserisce in maniera abbastanza naturale in quelli che sono il mio percorso e la mia identità. Sono sempre stata una grande lettrice: i libri sono entrati nella mia vita già prima dei dischi. Questo mio desiderio di scrivere però doveva essere conciliato con tutti gli impegni, con i tempi, le ispirazioni. Quando mi si è presentata davanti la possibilità di realizzare questo sogno, ho accettato anche se mi son resa conto che avrei dovuto lavorare abbastanza duramente.

Ho riflettuto però prima di iniziare a scrivere, perchè d’altra parte essendo io stessa una grande amante della lettura, ho sempre avuto dei modelli molto alti sia in poesia che in prosa e avevo paura di sentirmi inadeguata rispetto a questi. Scrivere un libro è un atto forte e importante, con un pizzico di incoscienza ho deciso che era giunto il momento di farlo.

Mi son trovata a scrivere in furgone, tra una tappa e l’altra del tour, in albergo, durante tutte le ore del giorno e della notte. La tracheite di questa estate, che mi ha fatta stare tra casa e ospedale, mi ha permesso di scrivere un paio di racconti. Anche la malattia è tornata utile, in un certo senso, e tutto si è inserito all’interno di un disegno.

Dalle tue parole è emersa forse la tua paura di deludere le aspettative…

Si, si tratta del timore di deludere le mie aspettative, scrivendo questo testo. Questa mia caratteristica spesso mi inchioda e mi fa essere severa nei miei confronti. Nel corso degli anni ho cercato di essere più flessibile e, forse, permettermi di scrivere questo libro è stato un regalo che ho fatto a me stessa. “Fallo, è una cosa che ti rende felice”: questo è quello che mi sono detta.

Anche lo stesso disco Deluderti ruotava attorno al fatto che ogni tanto dovremmo permetterci di deludere le aspettative, sia altrui, ma soprattutto le proprie, che spesso ci schiacciano e sovrastano maggiormente rispetto a quelle delle altre persone.

Da dove deriva la tua scelta di queste sette ragazze imperdonabili? Come sei venuta a conoscenza delle loro storie? Perchè le hai definite imperdonabili?

La scelta delle sette autrici è derivata dal fatto che sono state le sette protagoniste della mia formazione e che mi accompagnano ancora adesso. Tutte queste maestre, benchè diversissime, erano accomunate da questo carattere di imperdonabilità, ossia di cercare ad ogni costo, anche apparendo dure, radicali, antipatiche di dare giustizia a sè stesse ed essere fedeli ai loro ideali e alla loro vocazione.

È un qualcosa che ho capito solo guardando a distanza questi personaggi: un po’ come quando ti ritrovi a guardare da lontano un paesaggio e ci riconosci un senso che vada al di là del singolo dettaglio, della singola vicenda personale o opera.
Inserire queste figure è stato un processo naturale, e con Cristina Campo, c’era anche la necessità di rendere omaggio anche a persone meno conosciute ai più, rispetto a figure femminili più pop come Emily Dickinson o Giovanna d’Arco. Ho voluto condividere, sotto forma di poesia e prosa, la bellezza e la forza di questi personaggi, fonte dalla quale io ho attinto per crescere e conoscermi.

Alla fine veniamo a scoprire che in realtà le ragazze protagoniste sono otto. L’ultima Mary Delany, è stata inserita anche all’interno della tua tesi in Storia dell’Arte Medievale

L’ho conosciuta proprio durante la realizzazione della tesi. Lei non è stata una autrice, ma ero rimasta particolarmente colpita dalla sua biografia: nel Settecento in Inghilterra, all’età di 70 anni, si è inventata questa attività artistica di collage botanici. Questa vitalità e slancio, questo risultare fuori da qualsiasi stereotipo o schema, è impersonato molto bene nel giglio di mare, presente in copertina: è un fiore che fiorisce nelle dune.
È una vitalità peculiare che descrive, in parte, anche le altre ragazze; l’ho inserita in appendice, in modo tale da collegarsi poi, in maniera circolare, anche alla copertina, come chiusura creando un legame dotato di senso.

L’unico dovere che abbiamo e che dobbiamo acquisire nella vita è quello di fiorire, nonostante il contesto in cui siamo inseriti e le difficoltà che ci troviamo davanti: bisogna che ognuno di noi realizzi la propria vocazione.

Qual è la tua vocazione? Come hai conciliato le tue diverse passioni?

Io son sempre stata una persona curiosa, mi sono spesso ritrovata ad appassionarmi e occuparmi di cose differenti tra loro. Questo spiega gran parte della mia vita: il mio essere una grande lettrice, il mio mestiere di musicista e la mia laurea, ad esempio, in Storia dell’Arte Medievale.
Quindi, il centro di tutta la mia vita resta sempre l’arte, in tutte le sue forme: dal romanzo, alla poesia, dalla canzone ad un affresco. Questa è l’unica cosa capace di sospendere il tempo e effettuare quasi un risarcimento nei confronti di tutto ciò che finisce. Le diverse opere d’arte sono eterne, fruibili a sempre più persone e portatrici di un messaggio che spesso viene condiviso e compreso da più generazioni.

Anche nel sottotitolo del libro, evidenzi questa idea: la rivoluzione è della parola. Spesso le parole vengono usate in maniera superficiale. Uno dei compiti più difficili, soprattutto nella società attuale, è quello di trasmettere un messaggio con le giuste parole, rendere un linguaggio universale. Tu come ti poni nei confronti delle parole?

Le parole sono qualcosa di pericoloso in senso lato, operano un cambiamento e creano la realtà. Sono sempre più relegate ad esser un accessorio, anche se chi le utilizza si dovrebbe render conto della responsabilità che hanno. Le parole creano tutto il mondo e la sfida sta proprio nel cercare di renderle esperienze universali.

Credo molto nel sottotitolo che ho inserito, perché sia grazie alle parole che al linguaggio si può operare una vera e propria rivoluzione e si può incidere positivamente sulle vite delle persone e sulla società. Io stessa però mi rendo conto di quanto, nel mio lavoro, sia essenziale dare il giusto peso alle parole e aver bene in mente il messaggio che si vuole trasmettere al pubblico.

“Mentre con Dio io mi ci trovo bene
Perchè almeno Lui ha ampissime vedute”


Dal ritornello del brano Deluderti

Nel libro come anche nei tuoi testi ci sono sempre molti riferimenti alla religione, una presenza molto importante nella tua vita che ti lega anche alle protagoniste del libro. È un tema che spesso viene frainteso o considerato quasi solo in maniera negativa tra i giovani della società attuale. Sei una delle poche cantautrici che affronta questo argomento, utilizzando sempre le parole più adatte. Che cosa ti affascina di questo mondo e cosa può insegnarci ancora oggi?

Il fraintendimento è sempre dietro l’angolo quando si cercando di trattare temi non innocui, e bisogna tenerlo in conto come rischio. Perché sennò poi si rischia di dire che di qualcosa non si possa parlare. Cerco di essere libera in questo, cercando di spiegarmi bene, con le giuste parole e in maniera chiara. Da persona credente, Dio è finito sempre nelle mie canzoni e nel libro, in maniera inevitabile, essendo parte della mia vita.

In generale, penso che, attualmente, ci sia un po’ di pregiudizio e semplificazione nei confronti della religione, ma soprattutto di Dio: Dio è un modello importantissimo di libertà, anche se noi, grazie alle tradizione, lo immaginiamo invece come un qualcuno che ci limiti e insegni a vivere. Tutte le ragazze protagoniste cercano un dialogo con Dio, perché lui ha le ampie vedute ed è un modello invece di libertà. Dio non si fa recintare da nessuna descrizione, non conosce la divisione, l’imprevedibilità, ti può sorprendere come e quanto vuole. Questa idea di libertà la definirei, quasi, una fonte di ispirazione, che mi ha sempre affascinata.

Ringraziamo Maria Antonietta per la disponibilità.
Qui di fianco le date del suo reading musicale che le permetterà di girare l’Italia questa estate!


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