Intervista | Renato: quando quarant’anni di lavoro non bastano

Quanto è faticoso rientrare nel mercato del lavoro dopo una certa età?


Renato

Renato, laureato in Economia Statistica, porta sulle spalle circa quarant’anni di professione ma di colpo si è ritrovato senza lavoro. Noi di Radio Bicocca abbiamo ascoltato la sua storia e le difficoltà che tutt’ora sta affrontando.

Chi è Renato?

Ciao Renato, quanti anni hai e cosa hai studiato?

Ciao, ho 61 anni e ho studiato Economia Statistica alla Statale di Milano. Mentre studiavo lavoravo, infatti per questo motivo mi sono laureato solo nel 2018. Però nel mondo del lavoro ci sono da tanti anni, diciamo dal 1987.

Di che tipo di lavori parliamo?

Mi sono sempre occupato dei numeri e quindi del controllo di gestione. Ho girato diverse multinazionali dal settore consumer al settore dell’intrattenimento. È stata una parentesi piuttosto lunga iniziata nel 1989 e conclusasi nel 2019, con delle pause nel mezzo e in aziende diverse.

Com’è occuparsi del controllo di gestione?

Il mio ruolo ha una doppia faccia. Da una parte quella di grande tempestività e presenza all’interno dell’azienda per poter fornire in tempi rapidi gli andamenti e tutto ciò che concerne la bontà della fotografia economica della dell’azienda stessa. L’altro aspetto è quello di essere sempre sotto pressione da parte sia del management interno che dalla casa madre.

Durante la mia carriera ho lavorato con americani, italiani e anche francesi. Con gli italiani per poco tempo e per fortuna perché qui c’è ancora un management molto provinciale. Si tende a dare poca importanza a quello che dicono i numeri, ci si fida di più “della pancia”. Ma questa è una mia opinione basata su circa 40 anni di lavoro, fino all’estate del 2019.

Cos’è successo nell’estate del 2019?

Quell’estate venni a conoscenza di un taglio all’interno dell’azienda d’intrattenimento per la quale
lavoravo. Temevo di rientrare nel taglio e non avevo torto. La comunicazione ufficiale arrivò nel
settembre dello stesso anno. Ho avuto un scontro molto aspro con il mio superiore. Sapere che la persona con cui hai lavorato per quasi 16 anni, condividendo problemi e successi, improvvisamente diventa tuo nemico è un fatto difficile da digerire. Come dicevo il confronto è stato molto pesante, i toni erano duri soprattutto da parte mia. E alla fine sono stato licenziato.

Renato

Il licenziamento e il COVID

Dev’è essere stata dura.

Sai cosa? C’è un problema, cioè quello di rassegnarsi a questo tipo di situazioni. Il licenziamento viene accettato quasi come una routine, come qualcosa che prima o poi accadrà. In passato non era così, solo fino a vent’anni fa ritenevamo difficile che potesse accadere. Oggi è diventata la normalità.

E poi? Cos’è successo?

Nel dicembre del 2019 finì il periodo di lavoro per quest’azienda e iniziò il mio periodo di stallo. Come se non bastasse nel febbraio del 2020 è scoppiato il COVID e trovare un nuovo impiego è stato pressoché impossibile. Negli ultimi anni ho inviato 2712 curriculum senza successo.

Non ti sei rivolto a nessuno per trovare un altro lavoro?

Sì, l’azienda che mi stava licenziando mi aveva collocato presso un’agenzia di outplacement. È un’azienda privata che provvede a sostenere chi ha bisogno di un impiego. Ti viene assegnato un tutor con cui vagliare il mercato e le opportunità di lavoro. Il loro scopo è quello di affiancarti durante tutto il processo fino a quando non vieni reinserito nel mondo professionale. Ma la mia esperienza è stata totalmente negativa e confrontandomi con altri ho scoperto che il sentimento era abbastanza diffuso. Li sentivo poco, anche a causa del COVID e nel tempo ho notato come l’impegno per starmi accanto diminuiva. Occorre sottolineare che lo scopo di questa organizzazione, non è quella di trovarti un lavoro, ma metterti in condizione di trovarlo, usando delle tecniche aggiornate.

Pensi che sia colpa del COVID? La difficoltà nel trovare lavoro intendo.

Non solo. L’età è un forte discriminante, soprattutto in Italia. Mi sono trovato senza lavoro a 59 anni. Quando uno viene licenziato vuole trovare un’offerta con la stessa retribuzione. Ma non va mai così, i colloqui sono sempre molto brevi: un responsabile delle risorse umane di un’azienda, in media, impiega dagli 8 ai 10 secondi a leggere un CV. C’è una superficialità estrema nella valutazione delle persone. Ho mandato il curriculum in tutta Europa, negli Emirati Arabi, in Nord Africa e negli Stati Uniti ma nulla.

Renato e COVID

Attualmente cosa stai facendo?

Adesso sono impegnato nel dottorato di ricerca presso l’Università di Brescia, non ho più cercato lavoro e se sarà il caso magari farò il docente di qualche corso aziendale perché non ho nessuna intenzione di tornare in azienda per ora.

Riflessioni di Renato

Perché credi che ci sia tutta questa difficoltà nel rientrare nel mondo del lavoro dopo una certa età?

Ci sono tante aziende in Italia con una lacuna enorme nella pianificazione. Non siamo in grado di programmare. Siamo cresciuti di pochissimo nell’ambito salariale negli ultimi vent’anni ma restiamo comunque sotto l’1%. Siamo intorno allo 0.4%-0.5% mentre Francia, Germania, Olanda, Paesi Bassi si vedono incrementare i salari dei propri lavoratori grazie alla loro economia forte dove le persone riescono a riciclarsi e rientrare nel mercato anche in altri settori.

In Italia, invece, abbiamo un mercato stagnante. E le aziende assumono solo quando hanno davvero necessità. Finisce che per un singolo posto ci sono mille candidature e qualcuno sempre disposto a essere sottopagato pur di ottenere il lavoro.

Quindi credi sia solo un problema dell’Italia?

Il ragionamento è molto semplice: se siamo in paesi dove l’economia funziona, allora il mercato del lavoro è una conseguenza. L’economia di un paese si trascina tutto il resto.

Un consiglio che vuoi dare agli universitari?

Ai giovani direi di andarsene da questo paese. Sentiamo parlare tanto di talenti o di cervelli che fuggono, ma a fuggire non sono né talenti né cervelli. Si tratta di persone normali che decidono di non investire più il loro futuro qui e fanno bene.

Poi qui abbiamo un problema: facciamo le cose all’ultimo minuto ma non perché siamo bravi e ci impegniamo poco. No, ci trasciniamo tutto verso la fine perché non abbiamo la mentalità organizzativa e di pianificazione adeguata. Come diceva anche il presidente Ciampi, uno dei problemi più assillanti in Italia a quell’epoca – e anche tuttora – è quella dell’assenza della programmazione. Quindi consiglierei ai ragazzi anche di iniziare a fare quello.

Quest’esperienza cosa ti ha insegnato?

Bisogna sempre interrogarsi a livello professionale e chiedersi “io qui cosa sto facendo?”. Porsi delle domande è la base e ottenere risposte è essenziale perché ci fanno capire se il lavoro che stiamo svolgendo è percepito come un mero dovere o c’è del piacere. Da qui, capire se vogliamo insistere e investire il nostro tempo e cercare di dare un contributo significativo. E se non c’è un minimo d’interesse, non c’è perseveranza che invece è la chiave per sopravvivere a periodi complicati come quelli che ho affrontato io, occorre rivolgere l’attenzione altrove.


Areeba Aksar

Conosciuta come Ary, è nata a Kotli nel 1999. Studia Scienze Psicosociali della Comunicazione alla Bicocca. Apprezza i libri usati, gli indelebili per scrivere cose permanenti e i dialoghi dei film che non ti scordi. Soffre di meteoropatia estiva, se potesse vivrebbe da qualche parte in Quebec.

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