In occasione dell’anteprima del film Tintoretto. Un ribella a Venezia, in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane, abbiamo incontrato e intervistato Stefano Accorsi, nel film narratore dell’arte e della vita del pittore. Ecco cosa ci ha raccontato.
All’inizio del film si racconta di come Tintoretto scopre il suo talento, tu come hai scoperto il tuo?
Tintoretto scopre il suo talento in un modo attivo e molto pratico quando il padre gli permette di dipingere sui muri. Io invece l’ho scoperto in un modo indiretto nel senso che quando da piccolo ho cominciato a vedere i primi film sono letteralmente impazzito, i western di Sergio Leone mi hanno segnato l’infanzia. Se i miei genitori non mi portavano al cinema io piangevo ed ero capace di fare crisi inenarrabili. Tutti i bambini, se gli dai modo di farlo senza nessuna forma di pudore, si travestono e fanno le loro recite, chi più timidamente chi più istrionicamente, però io ho desiderato fare l’attore da quando ho cominciato ad amare il cinema. Poi ho cominciato a farlo nella pratica più tardi quando ho frequentato la scuola di teatro Alessandra Galante Garrone a Bologna. La prima volta che mi sono divertito in scena è stato facendo un’improvvisazione durante gli anni di scuola, che era molto basata sulle maschere della commedia dell’arte, sulle maschere di Basilea, sulla maschera neutra, sulla clownery e appunto sull’improvvisazione quindi c’era un uso del corpo abbastanza divertente. Quindi l’insegnante ci dava una situazione spesso molto silenziosa o in cui c’era poco da dire come ad esempio la famosa scena in ascensore con sconosciuti. Adesso in ascensore si guardano i telefonini, prima quando non c’erano cosa si faceva? Si leggeva il cartellino: portata massima 430 kg, si imparavano a memoria i numeri di telefono e quelli dei diversi piani. Durante l’improvvisazione cominciai a divertirmi, i miei compagni di corso cominciarono a ridere e lì successe qualcosa, provai il gusto di stare in scena. Gusto che secondo me non è così automatico provare. Io non sono mai stato uno di quegli attori istrionici che gode a stare in scena ad oltranza. Oggi facendo un monologo di un’ora e un quarto mi diverto dall’inizio alla fine però è un gusto che secondo me si esercita e si scopre piano piano. Mentre invece Tintoretto ha preso il pennello e ha cominciato a dipingere. Si narra anche che quando il padre riuscì a mandarlo a bottega da Tiziano e Tiziano vide il primo disegno di questo ragazzino decise di cacciarlo perché aveva visto in lui un talento evidentemente fuori norma. Molti si sono chiesti come sia possibile pensare che un autore, un artista affermato come Tiziano abbia potuto sentirsi intimidito da un ragazzino. Invece io credo che sia un aneddoto credibilissimo perché la rivalità è un sentimento umano, soprattutto in ambito artistico dove il talento lo si vede a prescindere dall’età e a prescindere da tutto.
Secondo te perché in questo momento storico piacciono di più gli artisti ribelli come Tintoretto e Caravaggio oppure fuori dagli schemi come Van Gogh? E anche a livello cinematografico e attoriale piace di più il ribelle?
La drammaturgia tendenzialmente si basa sui conflitti. Quindi più un personaggio è motore di conflitti più tiene la storia e più si possono costruire rapporti complessi all’interno della trama. Non è un caso che le favole finiscano con e vissero felici e contenti, perché se si cominciasse a raccontare tutta la storia del felici e contenti alla terza pagina il lettore inizierebbe a chiedersi: quand’è che muore uno? Quand’è che i protagonisti si lasciano? Si aspetta che prima o poi qualcosa vada storto. Per questo motivo tendenzialmente c’è il setup di pace e quiete iniziale in cui poi succede di tutto e i ribelli sono personaggi drammaturgicamente più semplici e interessanti da inserire. Inoltre se questi personaggi ribelli sono anche degli artisti spesso hanno un rapporto più facilmente raccontabile e più immediato con la loro arte. Hanno un rapporto fisico e quasi animale con la loro materia, con il colore, con la tela, con i pennelli e quindi riescono meglio a farti capire il rapporto con la loro arte. È più complesso raccontare un artista più “borghese”, bisogna anche in questo caso avere una storia che in qualche modo ti spieghi dov’è il loro lato animale perché gli artisti borghesi tout court tendenzialmente non avevano nemmeno una vita artistica poi così longeva.
C’è uno scultore o un pittore che vorresti interpretare e preferiresti interpretarlo per il cinema, per la televisione o a teatro?
Cinema, televisione e teatro sono tre mondi diversissimi. A teatro anche se racconti un artista e una storia d’amore puoi raccontare sia lui che lei, perché la convenzione teatrale fa si che in quella sospensione di incredulità tu creda a tutto. Chi è sul palco comincia a raccontare una storia e l’immaginazione di chi ti ascolta si mette in moto. La televisione ti offre il modo di raccontare su un arco di tempo più lungo e aneddoticamente più ricco. Il cinema invece tiene sempre ad una magia che secondo me è un po’ misteriosa. Quindi la scelta tra cinema, televisione e teatro dipende molto dall’artista che si vuole raccontare. Se penso ad alcune opere di Rodin la loro sensualità mi affascina tantissimo, perché hanno qualcosa di espressionista e imperfetto e questa imperfezione della materia evoca una carnalità che invece opere più perfette non evocano perché le si apprezza in un modo più mediato dalla testa. La carnalità di un’opera mi affascina molto, ma non saprei dirti quale artista vorrei interpretare così come è difficile dire quale è il registra con cui vorrei lavorare. Spesso le sorprese in questo mestiere ti arrivano da dove meno te lo aspetti, quindi se arriverà un bell’artista sarò felice di portarlo in scena.
Pensi che Netflix abbia in qualche modo influito su tutte le collaborazioni fatte da Sky e dalla Rai nell’ultimo periodo?
In realtà i moduli produttivi Sky, Rai e Netflix sono molto diversi tra loro. Netflix produce localmente molti film e serie tv e distribuisce poi mondialmente. Possiede una piattaforma che da un certo punto di vista è molto innovativa perché è facile da utilizzare e presente su qualunque device tu voglia. Mentre invece le televisioni tematiche come Sky piuttosto che le televisioni generaliste come Rai solo ultimamente hanno cominciato a creare questo asset produttivo molto più complesso, ad esempio con L’amica geniale. Sicuramente Netflix è stato un acceleratore per tante cose perché ha una facilità di uso che è ineguagliabile. Realtà come questa o come Amazon Prime secondo me scuoteranno soprattutto la concorrenza privata come Sky. La televisione generalista ha ancora un altro approccio, anche se l’applicazione di RaiPlay è fatta molto bene però ancora forse non ha la leggerezza di contenuti che possono avere piattaforme come Netflix. Quindi oggi in televisione, così come nei contenuti e nella forma, c’è un’evoluzione continua anche dal punto di vista della fruizione quindi non bisogna mai perdere di vista la concorrenza. Anzi Sky ad esempio ha creato una joint venture con Netflix Italia, quindi cerca sempre di stare al passo perché oggi la tecnologia va velocissima e si rischia proprio per quella, non tanto per i contenuti, di restare fuori dalla gara.
Durante il film abbiamo visto che la caratteristica della personalità di Tintoretto che ha inciso maggiormente nel suo percorso come artista è stata la spregiudicatezza, quale è invece la caratteristica della tua personalità che ha influito maggiormente nel tuo percorso sia come artista che come uomo?
Dal punto di vista artistico ho sempre cercato storie che in qualche modo, anche molto banalmente, mi sarebbe piaciuto vedere rappresentate al cinema, in televisione o a teatro. Ripeto non mi è mai piaciuto ragionare per posizionamento: lavorare con il tale autore allora vuol dire che anche se quel film non andrà bene in sala, nessuno ti criticherà per averlo fatto. Sì ma perché l’hai fatto? L’hai fatto perché ti andava di farlo o l’hai fatto perché comunque quello ti dà un posizionamento che poi ti consente di fare anche molto altro? Ecco non sono mai riuscito a fare questo tipo di ragionamento e penso che questo abbia creato un legame forte anche con il pubblico che mi segue, che in tutta Italia viene a teatro o che magari ha visto tanti film. Credo che l’unica cosa che serva per il nostro lavoro sia il nostro istinto: un progetto ti va di farlo e un altro no. Avrai ragione, avrai torto non lo sai però almeno di quello ti puoi fidare. E per quanto riguarda la vita è più o meno la stessa cosa, anche se crescendo è vero che la componente testa assume un peso diverso rispetto a quando sei giovane. Credo però che le storie più tristi siano quelle delle persone che si rendono conto di non aver seguito i propri sentimenti e il proprio cuore nella vita.
Hai iniziato la tua carriera sui palchi teatrali prima di approdare sul grande schermo, quale dei due mondi ti rappresenta di più?
In realtà ho cominciato la mia carriera con un film. Il primo provino della mia vita in cui mi presero era per un film di Pupi Avati. Ho girato quel film, subito dopo ho frequentato la scuola di teatro e ho lavorato un po’ a teatro. Penso che la bellezza di questo mestiere sia fare tutto: cinema, televisione, teatro e anche la pubblicità. La prima volta che mi hanno riconosciuto per strada è stato per la pubblicità del Maxi Bon. Camminavo per strada a Bologna, stavo andando a teatro, da lontano vedo un ragazzo con una signora che probabilmente era sua mamma che viene in senso opposto e comincia ad indicarmi e quando mi arriva vicino comincia a ripetere Maxi Bon, Maxi Bon. Quindi la pubblicità mi ha dato la riconoscibilità, prima di girarla mi sono chiesto la faccio o non la faccio? E lì mi sono detto che questo è un mestiere in cui veramente solo facendo riesci a capire, il che non vuol dire fare tutto quello che ti viene proposto però vuol dire che se prevalentemente vuoi fare una cosa la devi fare.
Tintoretto era molto legato alla sua città di appartenenza, Venezia, al punto da non lasciarla nemmeno durante il periodo della peste. C’è una città a cui sei legato in questo modo o a cui ti senti comunque particolarmente legato?
No non così sicuramente. Quando giro film legati alle mie radici, come il film con Ligabue oppure come Veloce come il vento, sento che c’è un’energia particolare che attinge a qualcosa di profondo. Però Bologna, che è una città che ho amato ma da cui sono anche fuggito per fare questo mestiere, è una città dove si vive molto bene, che ti protegge e ti coccola molto, però essere troppo protetto alle volte rischia anche di isolarti un po’. Quindi non è un caso che io mi senta più legato a città come Reggio Emilia, la terra di Ligabue, piuttosto che Imola dove abbiamo girato Veloce come il vento che sono più provinciali ma più legate alla terra. Poi Milano che è la città dove vivo tuttora mi piace tantissimo però l’ho scoperta da grande e non ho qui le mie radici, anche se è una città in cui mi piace tanto vivere.
Il film inizia con due frasi, una di David Bowie e una di Sartre, che descrivono Tintoretto, quale di queste due ti è più affine?
Ha costruito la sua carriera come proto-rock star _David Bowie
Il primo regista della storia_Jean-Paul Sartre
Quella di David Bowie perché mentre un regista ha a che fare con una messa in scena e quindi con una creazione, la frase di Bowie parla dell’essere umano e di Tintoretto che è un artista incredibile. Come Bowie identifichi in lui un’anima di quel tipo mi affascina tantissimo e mi racconta tanto del suo modo di vivere l’arte, ma innanzitutto la sua vita. Quindi questo aspetto mi ha affascinato molto e quando l’ho letta sono rimasto sorpreso che David Bowie abbia detto questa frase che inquadra da subito Tintoretto, definendolo proto-rock star.
Antonio La Mancusa, Edoardo Clerici, Linda Barbieri
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