Stefano Bertacchi è laureato in Biotecnologie industriali presso l’Università di Milano-Bicocca, divulgatore scientifico e autore del libro Geneticamente Modificati edito da Hoepli.
Attualmente che progetto di ricerca stai svolgendo presso l’università di Milano-Bicocca?
Sto svolgendo il dottorato di ricerca presso il dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze nel gruppo IndBioTech e nel laboratorio di chimica delle fermentazioni della professoressa Paola Branduardi. Ci stiamo occupando principalmente dello sviluppo di microrganismi come batteri o lieviti per le bioraffinerie ovvero dell’utilizzo di substrati di varia natura, soprattutto di scarto, per la produzione di molecole di interesse merceologico.
Sei anche divulgatore scientifico e hai scritto un libro dal titolo Geneticamente modificati: Viaggio nel mondo delle biotecnologie. Come sei riuscito a trovare un linguaggio semplice per comunicare cosa sono le biotecnologie e di cosa si occupano in modo tale da farti capire da tutti?
Ho cercato di appoggiarmi alle situazioni del quotidiano, guardandomi intorno e scegliendo degli oggetti semplici mi dicevo “se è semplice perché lo vedo lo può vedere e capire anche un’altra persona”. L’idea era proprio mettersi di fianco a qualcuno e provare a spiegargli di cosa le biotecnologie si occupano, quindi ho iniziato a parlare con genitori ed amici e da loro ho avuto una risposta positiva in quanto molti iniziavano a comprendere meglio l’argomento. Ho cercato proprio un linguaggio che fosse semplice con esempi presi dal mondo del calcio o da quello dei cartoni animati o dalla cultura pop in generale, che a prima vista possono sembrare stupidi ma che in realtà sono molto utili per capire i diversi argomenti trattati nel libro. Tutto questo perché le biotecnologie e gli OGM sono un tema molto caldo e dibattuto e riuscire a parlarne in maniera semplice e farne capire le basi permette poi di iniziare un dialogo costruttivo con le persone.
A proposito dell’argomento del tuo libro e del tuo lavoro volevo chiederti una breve e semplice definizione di biotecnologie
Possiamo dire che le biotecnologie comprendono tutti quei processi che coinvolgono degli esseri viventi o parte di essi come ad esempio gli enzimi, cioè proteine che compiono reazioni chimiche che possono essere sfruttate dall’uomo per un certo scopo. Ce ne sono diverse categorie che possiamo distinguere con i colori: le Biotech rosse sono quelle mediche, quindi più legate all’ambito della terapia genica e della produzione di farmaci; le Biotech verdi sono quelle legate alle piante e al cibo; le Biotecnologie industriali, Biotech bianche, che sono quelle di cui mi occupo, hanno lo scopo di utilizzare dei microrganismi per la produzione per esempio di biocarburanti e bioplastiche. Le biotecnologie non sono rappresentate solo da queste tre categorie, ma ce ne sono tante altre tra cui quelle ambientali. Ci tengo anche a dire che le biotecnologie non sono solo modificazione genetica ma utilizzano spesso dei microrganismi che sono già in grado di compiere delle reazioni o produrre delle molecole di interesse, per esempio fare la birra è un processo biotecnologico durante cui non si utilizza un OGM (organismo geneticamente modificato) ma un comune lievito.
Secondo te quanto è importante che chi si occupa di ricerca, non solo scientifica, sia in grado di comunicare e spiegare l’argomento della sua ricerca?
Parlare di scienza e farsi capire da tutti è molto importante per evitare l’effetto Torre d’Avorio e l’idea che la scienza sia un qualcosa di separato dal resto del mondo e di non accessibile al pubblico. Fortunatamente il gruppo di ricerca in cui sto svolgendo il dottorato partecipa, in collaborazione con altri gruppi del dipartimento, a molte attività come la Notte dei ricercatori che mi permettono di essere coinvolto in prima persona nel tentativo di spiegare la scienza a grandi e piccoli. In laboratorio abbiamo questo strumento che si chiama Responsible Research Innovation (RRI) che appunto ha lo scopo di coinvolgere il pubblico o i diversi attori partecipanti ad una filiera per riuscire a indirizzare la ricerca in una certa direzione, perché se già sappiamo che questa determinata tematica non verrà accettata dal pubblico è inutile procedere con il progetto senza prima averlo spiegato ed evitato così delle incomprensioni ad esempio nell’ambito della bioetica.
Sei anche caporedattore di Italia Unità per la Scienza, volevo chiederti di spiegarmi brevemente questo progetto.
Italia Unita per la Scienza è un’associazione che si occupa di divulgazione scientifica, abbiamo principalmente un’attività online ma organizziamo anche eventi con lo scopo di parlare di scienza a 360° e magari commentare delle notizie appena uscite o parlare di argomenti caldi come OGM e vaccini. Sulla nostra pagina si possono trovare sia contenuti pubblicati da noi sia articoli provenienti da altri blog o giornali che condividiamo quando reputiamo che possano essere interessanti per il pubblico.
C’è qualche consiglio che vorresti dare a coloro che vogliono intraprendere la carriera di divulgatore scientifico o di giornalista?
Il consiglio che posso dare è quello di essere il più possibile se stessi in modo tale da far emergere il lato umano delle persone che fanno scienza. Far capire che siamo persone comuni facilita molto la comunicazione con il pubblico e la comprensione delle sue esigenze e paure.
Siccome siamo una web radio volevo chiederti se a te piace ascoltare la radio o la musica in generale dato che anche nel libro sono presenti spesso riferimenti a canzoni o a sigle di cartoni animati.
“Come si cambia per non morire” recita una canzone: in natura è proprio così poiché la vita sul nostro pianeta è una guerra senza esclusione di colpi, in cui introdurre qualcosa di nuovo è spesso fondamentale.
A casa mia domina Radio Italia per motivi storici, quindi la maggior parte dei riferimenti presenti nel libro sono alla musica italiana. Però oltre alle sigle dei cartoni animati, mi piace ascoltare la musica pop e camminare con la musica nelle orecchie così da avere il ritmo giusto. Ho ascoltato la radio per tanti anni, adesso un po’ meno perché lavoro e da quando ho iniziato l’università sono sempre meno a casa, però quando posso mi piace ascoltarla ancora.
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