Tutti parlano di Jamie è il manifesto di una nuova generazione che disegna un mondo inclusivo, in cui nessuno debba sentire il bisogno di chiedere il permesso di essere chi desidera essere. Il musical (tratto dall’idea originale di Jonathan Butterell) si ispira alla storia vera di Jamie Campbell, un sedicenne di Sheffield che vive il grande sogno di diventare una drag queen.
A rendere Jamie “diverso” non sono solo le sue aspirazioni ma, forse ancor di più, la sua voglia di normalizzare la diversità. La personalità tanto fragile quanto esplosiva del giovane, che nel musical è Jamie New, troverà spazio per esprimersi solo quando avrà trovato il coraggio di essere sé stesso, presentandosi al ballo della scuola in abiti femminili.
Tutti parlano di Jamie, l’edizione italiana del pluripremiato musical Everybody’s talking about Jamie, arriva per la prima volta in Italia con l’adattamento e la regia di Piero Di Blasio e Giancarlo Commare (già noto al pubblico per Skam Italia, Maschile Singolare e Il paradiso delle signore) nei panni del protagonista Jamie.
Lo spettacolo è in tour in Italia e, dopo le tappe romane e milanesi, arriverà anche a Trieste, Torino e Firenze. Dopo aver assistito alla prima al Teatro Nazionale di Milano, abbiamo fatto due chiacchiere con il regista Di Blasio:
Il ruolo del regista
Una domanda da una persona che il mondo del musical lo ama alla follia ma ne conosce poco il dietro le quinte: cosa fa il regista? Qual è il suo ruolo?
Fondamentalmente il regista ha due compiti: ideare uno spettacolo, si deve far venire l’idea sul testo e sulla struttura, e poi metterlo in scena. In uno spettacolo come Tutti parlano di Jamie ho fatto un po’ di tutto. Ho discusso i diritti con gli inglesi che detenevano i diritti della storia e ho usato tutto il mio spazio da regista prendendomi incarichi che non mi competevano. L’ho fatto perchè volevo avere un’idea complessiva di tutto. Volevo assicurarmi che tutto permettesse di raccontare una storia reale al pubblico nel modo più vero, di pancia.
Ho cercato di fare un casting ad hoc e con attori che potessero essere il più veri possibili. Quello che hai visto, così come tutto il resto del pubblico, è il secondo compito, cioè la messa in scena, che è necessaria perchè il racconto sia il più completo e univoco possibile.
Ti è mai capitato, per curiosità, di trovarti davanti l’interprete perfetto per un ruolo ma magari non sapeva cantare, ballare o non era tecnicamente preparato a sufficienza per affrontare il palco?
Ti svelo un segreto: accade di continuo. Quando fai il regista speri sempre che qualcuno sbagli durante un provino, così puoi dire che non lo puoi prendere perchè qualcosa ha sbagliato. Se non fosse così e tutti fossero perfetti, i registi sarebbero letteralmente bloccati.
Questo vale per il carattere generale, poi esiste il physique du rôle: devi avere lo sguardo e il corpo per poter essere quel personaggio. In casi in cui manca tutto ciò si può cercare di lavorare. È pur sempre vero che non tutti possono interpretare tutti i ruoli: io ho fatto per vent’anni l’attore e sapevo di non poter fare il latin lover. Per Jamie ho fatto 78 provini e c’era sempre qualcosa che non mi convinceva. Ad un certo punto ho scelto un attore e l’ho portato fino alla fine dei provini, poi è arrivato Giancarlo [Commare] che però non sapeva cantare, quindi gli ho detto di prendere lezioni di canto. Gli abbiamo consigliato un vocal coach, lui ha chiesto un mese per prepararsi. Quando è tornato era già un’altra persona; anche a quel punto però io non ero 100% convinto.
Giancarlo è stato una fortuna perchè si è fatto tutta la trafila di provini. Addirittura ha fatto tre provini, quando altri attori ne hanno fatti solo due. Non è stato chiamato perchè era già famoso. Si è messo in discussione e fortunatamente ho avuto una produzione che mi ha detto: se non sei sicuro, non lo portiamo avanti. Non mi hanno detto di dargli il ruolo perchè era Commare. Lui, poi, ha vinto sul campo.
Arriviamo a parlare di Tutti parlano di Jamie; hai scelto tu di volerlo riadattare o ti è stato proposto? Perchè si tratta della prima volta che arriva in Italia a teatro.
Io l’ho fortemente voluto! Nel 2018 la produzione del Teatro Brancaccio mi ha mandato un bootleg del musical una sera d’estate e me ne sono innamorato. Ho subito chiesto via mail un incontro con la produzione inglese, che mi ha fatto vedere lo spettacolo, e poi sono volato a Londra per incontrarli. Loro mi hanno chiesto come avrei voluto costruire il musical e poi semplicemente lo abbiamo fatto! Dalla prima mail sono bastati tre scambi di messaggi con la produzione inglese, davvero incredibile!
Tutti parlano di Jamie: i casting, la scelta del protagonista e la rivoluzione gentile
In un’intervista Giancarlo Commare spiega che spesso gli viene chiesto come mai interpreti di frequente personaggi omosessuali e precisa che dire: “ah fai il ragazzo gay” è estremamente semplicistico, perchè ogni personaggio poi è un mondo a sé. Io vorrei sapere cosa della sua interpretazione ha fatto breccia nei vostri cuori durante i casting e quale lato di Jamie volevate che emergesse dalla rappresentazione.
C’è una cosa che Giancarlo ha e che hanno pochi attori: ha la capacità di farsi ascoltare. Questa è una cosa che hai e non la impari. Lui parla e ti commuove, non per le parole che dice ma per lo sguardo che ha. A noi interessava un Jamie comunicativo, che fosse in grado di veicolare l’unicità e un messaggio di fondamentale importanza: mai chiedere il permesso di essere sè stessi. Io ricordo che quando abbiamo visto la scena in cui litiga con la madre ci siamo messi a piangere, devastati, perchè ogni cosa che faceva era giusta, perfetta. Poi lui è uno stacanovista, bastava dirgli una cosa e in mezzo secondo l’aveva fatta.
Parlando de La piccola bottega degli orrori, che tu stesso hai diretto, spiegavi di aver capito perchè quel musical continuasse ad essere portato in teatro in più versioni e continuasse a riscuotere successo. Per Tutti parlano di Jamie credi di aver capito quale sia la chiave del successo?
Non so se l’ho trovata, ma la verità che c’è dietro Jamie può esserlo. Noi viviamo le storie che raccontiamo e raccontiamo le storie che viviamo; sono le storie forti che sopravvivono al tempo. Perchè Amleto torna sempre in scena? Perchè una storia forte, ti permette di identificarti. In Jamie, non solo un ragazzo omosessuale, ma chiunque abbia avuto un padre assente, abbia subito bullismo, abbia avuto una storia simile, può identificarsi. La Bottega funziona perchè è il Faust di Goethe.
Sai, all’inizio Jamie volevo ambientarlo in Italia, ma poi ci ho ripensato perchè la storia su cui si basa è vera. Accade lo stesso con Full Monty o Billy Elliott che sono storie che esistono a prescindere dal luogo in cui si svolgono. Jamie ha anche la fortuna di avere delle belle musiche, quelle di Dan Gillespie Sells. Ogni volta che Dino Scuderi, il direttore musicale dello spettacolo, insegnava le canzoni al cast lo sentivi dire “guarda questo che cazzo ha scritto, guarda dove ha messo sto accordo”, perchè era geloso di non averlo fatto lui.
Jamie porta gli young adults a teatro
Quando ho visto il musical al Teatro Nazionale mi sono molto stupita per l’età media del pubblico; ho visto diverse madri accompagnare i figli ma anche persone di età un pochino più avanzata. Quale pensi possa essere il motivo?
Credo che la prima di Milano sia stata un caso particolare. Noi a Roma al Brancaccio abbiamo avuto una percentuale di spettatori tra i 18 e i 35 anni, gli young adults, del 78%. Se ci pensi, sono giovani che hanno scelto di pagare non biglietto e vedere uno spettacolo. È stranissimo perchè a teatro di solito l’età media è molto più alta, quindi è bellissimo che Jamie attiri un pubblico nuovo.
In generale poi, anche quelli che erano lì per Giancarlo all’inizio, poi tornavano per Jamie; due ragazze lo hanno visto addirittura dodici volte. Forse un cosa del genere non accadeva dai tempi di High School Musical! Noi ora siamo in tour, ma troviamo persone che si spostano fuori regione per venire a vederci. Sicuramente è grazie al fatto che Jamie è il volto di una piccola, grande rivoluzione gentile.
Per concludere: qual è la tua battuta preferita o comunque quella che ti è rimasta dentro di più di tutto il musical?
Sarei banale se ti dicessi “smetti di chiedere il permesso di essere te stesso“, lo dice Pritti Pasha a Jamie. Forse la battuta che ho più a cuore è un’altra, la pronuncia la madre prima di fare il duetto: “tu al ballo puoi andare vestito come ti pare, puoi andare anche nudo, puoi andare come credi, ma sarai sempre bellissimo”. In fondo, è una frase che Barbara, che ha degli occhi bellissimi tra l’altro, dice a Giancarlo con una naturalezza disarmante.
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