Quanto è disposto l’uomo ad abitare il dolore? Quanto l’esperienza del desiderio è collegata a quella del limite? È vero che la nostra mente ragiona in termini razionali?
In questo Bicocca Tips vi consigliamo tre letture per avvicinarvi alla conoscenza di tre colossi italiani della saggistica psicoanalitica che si occupano di divulgazione di temi psicologici.
I miti del nostro tempo di Umberto Galimberti
Un aspetto interessante di molti degli scritti di Umberto Galimberti è il suo sguardo sulla società come elemento profondamente connesso alla dimensione psichica sana e patologica dell’essere umano. Secondo Galimberti, infatti, la società assume un ruolo preponderante nella strutturazione psichica, relazionale e identitaria dell’individuo. In particolare, nel libro I miti del nostro tempo, l’autore passa in rassegna una serie di miti riscontrabili nell’epoca attuale. Galimberti definisce i miti come “idee che ci possiedono e ci governano con mezzi non logici bensì psicologici e quindi radicati nel fondo della nostra anima dove anche la luce della ragione fatica a far giungere il suo raggio”. È però necessario che avvenga una problematizzazione di essi poiché molti malesseri derivano proprio da queste idee insite inconsapevolmente nel nostro pensiero.
“Essere al mondo senza capire in che mondo siamo è la via regia per estraniarci dal mondo, o per essere al mondo solo come spettatori straniti.“
Galimberti
Secondo Galimberti, la psiche umana ha una natura ambivalente nella sua dimensione più profonda. In riferimento a ciò, un mito molto interessante di cui parla nel suo libro è quello dell’amore materno. “Nel profondo tutte le cose sono intrecciate di un’invisibile disarmonia” e così anche il sentimento di una madre. La metamorfosi del corpo, la rapina del loro tempo, l’occupazione dello spazio fisico ed esteriore, interiore e profondo. Questi, non sono forse elementi tanto gravosi per alcune donne quanto trascurati nella narrazione della maternità? Parlare dell’essere madre esclusivamente nei suoi aspetti positivi e di amore incondizionato non permette un adeguato riconoscimento di alcuni fondamentali bisogni delle donne.
La nostra società tende a portare il dolore fuori dagli argini della consapevolezza. Vi è una tendenza a negare la portata della sofferenza insita nella natura umana. Tuttavia, ci dice Galimberti, risulta molto più utile prenderne atto e “assistere madre e figlio nel logorio della quotidianità, accarezzare l’una e l’altro per creare un’atmosfera di protezione per entrambi”.
La fragilità che è in noi di Eugenio Borgna
Anche secondo Eugenio Borgna, negli slogan mondani dominanti, la fragilità è l’immagine della debolezza inutile e decostituita di senso. Sarebbe invece necessario riconoscere come nella condizione di fragilità “si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza e di dignità, di intuizione dell’indicibile e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi”. La fragilità è un’esperienza interpersonale ma il timore di non essere accolti e accettati nella nostra vulnerabilità rende a volte impossibili le relazioni umane.
L’autore riconosce il potere terapeutico di un atteggiamento “fragile” nei confronti dell’essere umano. Atteggiamento che permetta di entrare in comunione e in sintonizzazione con la parte profonda e vulnerabile dell’uomo, come accompagnamento necessario alle tecniche terapeutiche e/o farmacologiche. Inoltre, la vita ci travolge immergendoci quotidianamente in una logica di produttività non permettendoci di fermarci a riflettere per guardare cosa si nasconde nelle acque profonde di quello che siamo. Borgna parla dunque della necessità di un linguaggio che si coglie nei suoi significati profondi solo quando “accompagnato dalla luce arcana dell’interiorità”.
Solo il dialogo col silenzio ci consente di cogliere le ferite dello spirito inesprimibili e invisibili agli occhi della ragione calcolante e ci consente di guarirle senza cicatrici.
I tabù del mondo di Massimo Recalcati
Secondo Massimo Recalcati l’esistenza del tabù definisce la vita in quanto umana per la sua natura di luogo oltre cui non è possibile transitare e contemporaneamente passione irresistibile alla sua violazione. Nella nostra cultura però l’esperienza del limite è considerata contrazione della vita, anziché argini entro cui potersi giocare e definire. Per l’autore, infatti, il tabù conserva aspetti dell’inviolabile, dell’impossibile, del sacro. Poiché la vita: “non è una semplice presenza di cui siamo proprietari ma è qualcosa che porta con sé la cifra – trascendente e impossibile da svelare – del mistero”.
“Al nostro tempo sfugge il nesso che lega l’esperienza del limite a quella del desiderio. […] La legge non è semplicemente un antagonista repressivo del desiderio, ma ciò che lo alimenta continuamente”.
Il giustificare, in virtù della libertà, la negazione del limite e l’annullamento dello scarto che separa l’Io dall’altro in funzione di una illusione di autosufficienza narcisistica è, secondo Recalcati, la follia mortale del nostro tempo.
E tu? Che ne pensi? Avevi mai riflettuto su quanto i condizionamenti socioculturali entrano in conflitto o, viceversa, possono promuovere, sostenere ed esaltare i moti arcaici e profondi della psiche e dello spirito umano?
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