A partire dal 20 febbraio, le nostre vite sono cambiate per sempre. Quel giorno, come è tristemente noto, venne individuato “ufficialmente” il paziente 1 all’ospedale di Codogno. Da quel momento, un susseguirsi di chiusure, dichiarazioni contraddittorie e morti che hanno investito il nostro Paese e il mondo come un vento funesto che forse solo ora, lentamente, comincia a smettere di soffiare (almeno in Europa).
Quel giorno, dopo aver concluso con enorme soddisfazione la mia prima sessione di esami universitari della mia vita, presi un treno da Milano per tornare a casa, convinto che sarei tornato nel capoluogo lombardo a breve per cominciare la seconda parte dell’anno accademico. Mi sbagliavo. Come è noto, gli studenti universitari sono stati costretti a usufruire della didattica a distanza: lezioni preconfezionate, registrate dai docenti e seguite dagli studenti al pc.
Questa didattica poteva funzionare, bene o male, in una situazione d’emergenza; ma adesso, non più. Le università devono riaprire e cosa più importante, gli studenti devono tornare in aula il prima possibile. Tuttavia, sembra che a nessuno importi di tutto questo. In tutti questi mesi, non ho mai sentito il Presidente del Consiglio Conte proferire una parola sulle università, né tantomeno i media. Si parla di far ripartire (giustamente) tutte le attività economiche, si parla ogni giorno del campionato di calcio come qualcosa di sacrosanto, si parla dell’esame di maturità e del rientro a settembre degli studenti nelle scuole. Giustissimo. Ma le università e i loro studenti?
Inutile citare la lettera firmata da 870 docenti universitari e presentata al ministro dell’Università Gaetano Manfredi, in cui si chiede di far ripartire le attività didattiche universitarie in presenza il prima possibile. È passata completamente sotto silenzio. La verità, è che questa situazione fa comodo ai rettori, ai docenti, al mondo politico. Nessuno vuole prendersi la responsabilità di riaprire le aule universitarie, di attuare delle misure di sicurezza favorevoli a un rientro degli studenti. La didattica a distanza conviene: è facile continuare con questo sistema, i docenti non devono presentarsi in aula e possono tranquillamente “dispensare” il sapere davanti allo schermo, senza un dialogo con gli studenti e senza interruzioni. I rettori e il mondo politico sono soddisfatti, in quanto non si assumono nessuna responsabilità, nessun rischio. Prendo in causa i docenti, poiché il numero di firmatari della lettera che ho citato in precedenza sono solo 870: numero a dir poco irrisorio e che conferma il fatto che a molti questa situazione conviene.
Il ministro Manfredi, in un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, ha dichiarato che l’intenzione è di riaprire completamente le aule universitarie a partire da febbraio 2021; prima di allora, si effettuerà una didattica mista, con qualche lezione in aula per pochi eletti e la maggior parte ancora a distanza. Non è assolutamente possibile permettere questo; la didattica a distanza, a lungo andare, si rivelerà estremamente dannosa.
Partiamo da alcuni esempi pratici: ora, molti esami vengono svolti online, tramite apposite piattaforme con un funzionamento che chiamare macchinoso e burocratico è poca cosa. Molti studenti (cito in particolare quelli del mio corso di laurea in Sociologia) hanno avuto problemi a svolgere gli esami e addirittura ce ne sono diversi che non sono riusciti a svolgerli a causa di malfunzionamenti, errori e quant’altro. Questo per affermare quanto sia limitante la didattica a distanza.
Un secondo aspetto da tenere in considerazione è la qualità della didattica stessa; la modalità telematica non permette un giusto apprendimento dei concetti e la didattica diventa unidirezionale. Agli studenti vengono impartite nozioni su nozioni senza possibilità di confrontarsi direttamente con i docenti, impedendo un dialogo costruttivo e la possibilità di mettere in pratica i concetti impartiti, di interiorizzarli. È un enorme passo indietro; in pratica, viene a morire l’essenza stessa dell’esperienza di apprendimento universitaria. La didattica a distanza è assolutamente logorante. Non posso mettere in dubbio che per chi è impossibilitato a frequentare l’università (per motivi lavorativi o di salute per esempio) sia una preziosissima risorsa. Tuttavia, questa dev’essere vista come un’estensione, una possibilità in più, non come la sostituzione definitiva delle lezioni in aula.
Infine, mi sento in dovere di affermare questo: l’università non è solo studio. L’università è tanto altro: è un luogo di vita, di crescita personale e culturale immenso, di socialità, di amore e amicizia, di speranze e di sogni. La didattica a distanza non potrà mai sostituire tutto questo. Le menti e le nostre conoscenze vengono alimentate nelle aule universitarie, non davanti a un pallido schermo. Si sta sfruttando l’emergenza sanitaria per non affrontare seriamente il problema della messa in sicurezza degli atenei; ciò dimostra, come ho affermato in precedenza che fa comodo. Queste considerazioni mettono in luce un fatto ancora più terribile: l’istruzione universitaria è considerata di poco conto, un qualcosa per pochi, un fatto trascurabile. Gli studenti sono lasciati in balìa di loro stessi, soli e davanti a un pc, senza rendersi conto delle infinite possibili situazioni di disagio esistenti nelle mura di casa, un luogo non sempre sinonimo di tranquillità e dunque delle possibili implicazioni negative che vengono a crearsi per la carriera universitaria.
Nessuno si rende conto che questa situazione potrebbe portare molti studenti ad abbandonare l’università, con tutti i progetti di vita legati ad essa. Sono fortemente convinto che meno persone saranno invogliate a cominciare un percorso universitario, con conseguente riduzione delle immatricolazioni. Sarebbe un altro colpo che il nostro Paese non dovrebbe permettersi.
Mi chiedo veramente se i rettori e i ministri inerenti all’istruzione se ne rendano conto. Il già citato ministro Manfredi, nell’intervista rilasciata al Corriere, afferma con tutta sicurezza che a quattro studenti su cinque piace la didattica a distanza. Mi rifiuto di crederci. Un paese che si preoccupa di far ripartire il campionato di calcio e non le università, luogo di salvezza, del sapere e della conoscenza non ha futuro.
Mi fa tristezza pure che gli studenti non si facciano sentire per questo, sembra quasi che vivano questa situazione in modo indifferente, come una questione sorvolabile. È giusto che molte associazioni studentesche si mobilitino per l’abbassamento delle tasse universitarie, per rendere l’università accessibile a tutti, come stanno già facendo, ma se non ci si esprime per tornare in aula, tutto questo non ha senso.
La soluzione che propongo è questa: riprendere con l’insegnamento in presenza e registrare le lezioni svolte in aula, in modo che chiunque non potesse tornarvi per i più svariati motivi non rimanga indietro. Ritengo dunque che sia assolutamente necessario far tornare in sicurezza gli studenti nelle aule universitarie, dove potranno riprendere ad abbracciarsi, studiare insieme, a coltivare ciò che è stato lasciato in sospeso e fiorire. Sì, bisogna ritornare alla vita. Questa affermazione farà venire i brividi a tutti i fautori del distanziamento sociale, ma siamo stati tutti per troppo tempo separati, c’è bisogno che i nostri corpi tornino ad unirsi e a riscaldarsi di vita, perché dopo questa orrenda situazione abbiamo bisogno di questo.
L’università è un’esperienza di vita che ogni persona dovrebbe avere la possibilità di vivere, che esperienza è quella trascorsa in solitudine davanti a un computer? Questi mesi che avrebbero dovuto essere alcuni tra i migliori che noi studenti universitari avremmo vissuto ci sono stati rubati e nessuno potrà più restituirceli. Facciamo sì che non ci vengano sottratti altri possibili meravigliosi momenti di vita.
Articolo a cura di Enrico Strapparava
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