Judgement free zone
Questa l’intestazione del pannello che appare non appena le porte del Fabrique Milano alle 19:45 si aprono ai circa 400 seguaci giovanissimi e giovanissime (i primi in fila dalle 9:30) venuti da ogni parte d’Italia per ascoltare la loro beniamina di Davenport, Iowa. Non è la prima volta che si esibisce a Milano (ha aperto i concerti di Niall Horan nel 2018) ma è la prima volta in un tour tutto suo: The Inner monologue tour. Unica tappa italiana e terzultima d’Europa prima di tornare in madre patria.
La serata inizia con l’emergente Rhys Lewis che scalda il pubblico con la sua suadente voce e lo charme sexy da inglese completo di London Look. Solo alle 21:30 si entra nel vivo con una sorridente ed energica Julia che saltella su un palco arricchito da una coloratissima scenografia e fiori gonfiabili giganti mentre canta sulle note di Pink, da sempre una delle canzoni più apprezzate dal fandom estratte da Nervous System, primo album pubblicato nel 2017 che l’ha consacrata al pubblico.
La folla è in visibilio, ma lei non perde tempo e performa tutte d’un fiato Miss you, Make it up to you, Worst in me, e Heaven prima di fermarsi e raccontare alla platea come Inner Monologue part1 e Inner Monologue part2 siano stati frutto di tutte le storie d’amore, le sofferenze, le paranoie, le paure che si portava dentro e che non vedevano l’ora di uscire per librarsi nell’aria con le note. Ogni volta che canta lei sorride e si diverte (si vede), salta e balla perché si sente felice di lasciar andare tutte le sue emozioni con le parole. Riprende lasciando tutti in estasi con Deep, Into you, Hurt again. Si emoziona quando, cantando Happy, la fan action prende vita: diamanti di carta con la scritta ‘You make us happy’ riempiono il Fabrique sprigionandole sul viso un sorriso micidiale. Julia ricambia la gioia scendendo dal palco con chitarra acustica e addentrandosi tra le insidie della platea. Mille mani la vorrebbero toccare, ma il contegno comune la lascia cantare in mezzo ai fan adoranti Fuck You, cover di CeeLo Green, Apple e Falling for boys, prima di tornare sul palco.
Le luci passano dal fucsia al bianco, l’atmosfera diventa tiepida e una panca occupa il centro dello stage. Tutti i suoi 157 centimetri si ergono al di sopra, trasformandosi in gigante mentre canta Priest: le dita medie si alzano automaticamente per mandare a quel paese tutti gli ex fidanzati che hanno fatto soffrire. Poi si ferma, guarda tutti negli occhi e racconta della sua più grande nemica: l’ansia. Incita tutti ad abbracciare la persona di fianco, perché tutti a volte abbiamo bisogno di essere confortati e sentirci al sicuro in un abbraccio, non importa se di uno sconosciuto. Canta Anxiety, tutto il Fabrique risponde come una voce sola. La tristezza svanisce in un secondo quando la chitarra suona le prime note di Uh huh. What a time si accoda subito alla fine e i fan la sommergono con un’onda di fiori finti. Dice che è stato uno dei concerti più belli di sempre e saluta Milano con Issues, la hit che l’ha resa celebre. Lascia il palco con uno splendido sorriso disegnato sul volto.
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