I Siberia nascono nel 2014 a Livorno, il loro nome deriva dall’immaginario evocato dal libro di Nicolai Lilin “Educazione siberiana”. La band è composta da Eugenio Sournia (voce), Cristiano Sbolci Tortoli (basso), Luca Pascual Mele (batteria) e Matteo D’Angelo (chitarra). È con Eugenio che scambiamo due chiacchiere riguardo a musica, amore e poesia. Il 3 dicembre i Siberia faranno tappa in Bicocca con il loro Music and Poetry tour.
Ti va di parlarmi un po’ della tua band?
La band fonda le proprie radici nella terra oscura dell’adolescenza.
Io e Luca (il batterista) suoniamo insieme praticamente da quando abbiamo 16-17 anni. I Siberia, per come sono oggi, partono più o meno nel 2014, anche se poi c’è stato un piccolo cambio di formazione perché abbiamo cambiato bassista. Fondamentalmente, l’idea alla base era quella di fare canzoni inedite. All’epoca (sto parlando del 2010 circa) cantare in italiano era ancora una scelta in controtendenza, almeno nei nostri lidi a Livorno. Rispetto all’ondata attuale di indie e pop, abbiamo qualche tematica sicuramente diversa, meno giovanilistica, un po’ più pesante se mi passi il termine. Ma al di là di questo, siamo una band di amici, molto legata da un punto di vista affettivo. Questo aspetto si riflette anche nella musica e nelle canzoni che scriviamo.
Quindi se ti chiedessi di descrivermi i Siberia con 3 aggettivi, quali useresti?
Sicuramente il primo è sinceri, perché anche in questo disco abbiamo fatto canzoni e ricalcato il sound che in qualche modo ci siamo prefissati, senza troppi calcoli. In particolare, in apertura del disco abbiamo cercato di proporre dei testi meno esemplari inserendo quelle bruttezze e quelle meschinità che magari non avremmo voluto vivere nelle nostre vite.
Un altro aggettivo che utilizzerei è classici. Anche se lo si può connotare sia in senso negativo che positivo. La nostra band vive, in un certo senso, fuori dall’ondata del pop e dell’indie italiano. Inoltre, con gli anni il confronto tra noi (membri della band, ndr) si è ampliato, perché fortunatamente siamo una band in divenire, infatti il terzo aggettivo è aperti, e questo disco ne è la prova perché siamo usciti dalla nostra comfort zone.
Proprio collegandoci alla vostra ultima fatica, è uscito oggi il vostro disco “Tutti amiamo senza fine”. Com’è stato dar vita a questo terzo album? Ricordi un momento preciso legato alla creazione di questo disco?
La genesi di questo disco non è stata programmata. Le canzoni sono nate in modo naturale perché abbiamo passato molto tempo insieme durante il tour del nostro disco precedente Si vuole scappare, e in questo lasso di tempo di circa 6-9 mesi, anche se abbiamo tra i 25 e i 30 anni, abbiamo vissuto una sorta di seconda adolescenza. Ci siamo resi conto che, nonostante l’aria da esistenzialisti, le ragazze e le relazioni erano al centro dei nostri discorsi e delle nostre vite. Il momento che ricordo molto chiaramente è la scrittura della title track (Tutti amiamo senza fine, un po’ il manifesto del disco): a differenza delle altre canzoni, questa è molto più pesante e letteraria quindi all’inizio mi sono detto che non avrebbe mai trovato il suo spazio nel disco proprio per la sua pesantezza, visto che il format del disco era improntato ad una certa leggerezza. Ma in seguito c’è stato un momento in cui ho capito che questa canzone non solo era adatta per il disco, ma anche che quello era il titolo perfetto. Tra l’altro, ero ad una riunione d’etichetta: quando ho proposto il titolo l’ho fatto un po’ per scherzo, invece l’idea è piaciuta subito a tutti.
Qual è un momento che ricorderai per sempre in merito alla stesura del disco?
La prima canzone in ordine cronologico ad essere nata è Peccato. Sono molto affezionato a questa traccia perché è nata in un giorno di grande dolore per me. Questa canzone è un po’ un grido di sofferenza e di speranza. Tratta l’amore passionale e il ricordo ottenebrato di una persona. Peccato perché sembrava ci fosse qualcosa, ma era solo qualcosa di occasionale.
Tu e il tuo gruppo avete idoli in particolare a cui vi ispirate?
Diciamo che abbiamo sempre cercato di evitare di avere veri e propri idoli.
Però, non posso non menzionare Ian Curtis, dei Joy Division, a cui abbiamo dedicato anche un brano del disco, Ian Curtis. I Joy Division sono stati un po’ la base da cui partire, perché sono una band molto semplice tecnicamente e danno subito la sensazione che chiunque, con qualche buona idea, può fare musica molto valida. In ambito italiano, posso citare Luigi Tenco. Sicuramente nella scrittura è un modello: i suoi testi hanno un bellissimo italiano, molto semplice, senza essere letterario e troppo complicato.
Hai scritto circa l’80% delle canzoni presenti nel disco. Il concept è l’amore: quale aspetto è stato più difficile da trattare dal punto di vista cantautorale?
Sicuramente le cose più leggere, perché brani come Tutti amiamo senza fine, Non riesco a respirare e Sciogliti, sono più nelle mie corde. Invece La canzone dell’estate o Mademoiselle sono brani che mi hanno richiesto maggiore sforzo perché ho dovuto lavorare per sottrazione. Scrivere una canzone felice è molto più difficile che scrivere una canzone triste, ponendosi come obiettivo di non cadere nella banalità. Alla fine, lavorare per sottrazione per me è un modo per progredire come autore.
Tra tutte queste canzoni, escluso il manifesto, qual è quella a cui ti senti più legato?
Peccato è una canzone che da un punto di vista di valore assoluto forse non è all’altezza di altre, ma le voglio molto bene perché indissolubilmente legata ad un momento molto brutto della mia vita. È stato veramente un caso di catarsi. E poi, devo essere sincero, Non riesco a respirare. Quando l’ho scritta ero molto innamorato. Forse la prima vera canzone d’amore che ho scritto senza stare a pensare troppo al fatto che dovesse essere necessariamente “colta”, “dare altri significati”, “letta in altri modi”… è una canzone d’amore fine a sé stessa e spero che possa trasparire il sentimento che c’è sotto.
Il 3 dicembre sarete ospiti in Bicocca per il vostro Music & Poetry tour, come mai la scelta di optare per le Università piuttosto che per i consueti in-store? Avrete anche modo di discutere del connubio musica- poesia con Demetrio Marra. Cosa puoi dirmi a riguardo?
È stata una scelta fatta di concerto con l’etichetta, perché comunque nessuno di noi è laureato e volevamo prenderci una rivincita (ridiamo, ndr). A parte gli scherzi io credo che l’unione con dei veri e propri poeti possa essere una cosa molto simpatica e bella. La poesia ti confesso che è sempre stato un mio pallino. Ho cominciato prima a scrivere poesia e solo dopo canzoni. Tuttora mi considero più un autore di testi che un musicista. Se mi chiedessi qual è la cosa che mi darebbe più gioia, ti risponderei senza esitare: scrivere testi.
Quindi possiamo aspettarci anche poesia da parte tua?
Mi hai dato un’idea. Mi piacerebbe. In realtà ne ho tantissime, ma aspetto il momento giusto per tirarle fuori. Non le faccio leggere praticamente a nessuno, se non a fidanzate, amici e parenti. Non saprei quali potrebbero essere le reazioni di un pubblico colto e preparato.
Nel 2020 inizierà il nuovo tour. Come vi sentite a riguardo?
Siamo molto entusiasti, smaniosi, non vediamo l’ora. Quando fai il musicista, lavori tantissimo sulle tue canzoni e non vedi l’ora di suonarle davanti a tutti. È liberatorio quando le tiri fuori e le suoni davanti al pubblico. Il live è molto appagante.
Ringraziamo Eugenio e tutta la band per la disponibilità, di seguito alcuni link utili:
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