Bentornati su Cine Trash: la rubrica sui film di serie B. Qui tratteremo tutti quei film trash che, nella loro bruttezza, sono diventati veri e propri capolavori del genere. Oggi è il turno di Symbol, un film giapponese che sotto la scorza di nonsense racchiude diversi significati interessanti… Credo.
Symbol
Diretto da: Hitoshi Matsumoto
Anno: 2009
Genere: Sperimentale
Percentuale Trash: 75%
1. Educazione
Questo è il primo dei tre capitoli che compongono Symbol e serve principalmente da introduzione ai personaggi. Ci sono fondamentalmente due linee narrative. Da una parte un luchador messicano che si prepara all’ennesimo incontro, dall’altra un uomo giapponese che si trova imprigionato in una stanza bianca e vuota.
Questo Symbol parte alla grande, vero?
Sul luchador, almeno per ora, non c’è molto da dire, a parte il fatto che non parlerà mai per tutta la durata del film e che si fa chiamare Escargot Man. La figura interessante è invece quella del giapponese, interpretato tra l’altro dal regista stesso. Come accennato poco fa, la stanza è vuota, fatta eccezione per dei bottoni sulle pareti. Questi hanno una forma…come dire…insolita per dei pulsanti.
Sono fallici, per farla breve: ma non falli qualsiasi, falli di putti, i classici angioletti di ceramica che ha a casa ogni nonna.
Questi imbarazzanti pulsanti, se premuti, fanno apparire nella stanza vari oggetti: scope, sdraio, piatti di sushi, fumetti e tanti altri oggetti, tutti più o meno inutili. Tutto, fin qui, sembra assolutamente senza senso.
Ma all’improvviso, dopo aver premuto l’ennesimo tasto, il protagonista con il pigiama più brutto della storia scopre una porta a scomparsa. Entrare non sarà certo facile e, per farlo, dovrà combinare assieme molti degli oggetti che, in precedenza, sono comparsi nella stanza. La sua stupidità però metterà alla prova la nostra pazienza. Faccio un esempio per essere più chiaro.
Per far tenere la porta a scomparsa aperta, è necessario tenere premuto un tasto sul pavimento. Il modo più semplice per farlo è appoggiarci sopra un peso, no?
No, a quanto pare. Verranno provate tutte le soluzioni prima di capire come fare, partendo da un ventaglio (sperava di abbassare il tasto con lo spostamento d’aria) fino alla costruzione di una piramide di sushi sopra di esso per tenerlo pigiato.
Insomma, il protagonista dopo mille tentativi riesce a superare questa dannata porta e con questo si apre il secondo capitolo.
2. Implementazione
L’uomo giapponese, scappato a fatica dalla prima stanza, percorre una serie di corridoi apparentemente senza fine, in un complesso trip psichedelico che non ci farà capire se ci troviamo in un sogno o meno. Dopo una lunga corsa, però, si trova all’improvviso in una seconda stanza, simile alla prima ma molto più grande e cupa e con molti più pulsanti.
Nel caso ve lo steste chiedendo si, la loro forma è sempre la stessa.
Questa volta però i pulsanti, anche se premuti, sembra che non abbiano alcun effetto. Ed è qui che torna in scena il luchador.
Per spiegarla nel modo più semplice possibile, quello che ora accade è che il giapponese, con i suoi tasti, non controlla più l’interno della sua stanza ma bensì il resto del mondo. Ogni volta che preme un bottone influenza qualche circostanza esterna, che sia la fioritura di una pianta o l’inizio di un uragano dall’altra parte dell’oceano. Oppure, premendo il tasto giusto, fa sì che il collo del lottatore messicano si allunghi a dismisura trasformandosi in una specie di mazza che colpisce tutti quelli che gli sono accanto.
Lo so, sembra una cosa senza senso, ma non c’è altro modo per spiegarla.
Premendo un altro tasto, il cantante di una cover band dei Kiss negli Stati Uniti inizia a sputare fuoco come se fosse un drago, abbrustolendo i capelli del pubblico che assiste al concerto.
Restate concentrati, manca poco alla fine di Symbol, lo prometto.
Il giapponese quindi, premendo pulsanti, influenza ciò che accade nel mondo, anche se in un primo momento non sa esattamente cosa stia facendo. Ad un certo punto però decide di scalare la stanza usando i pulsanti a mo’ di parete da arrampicata. Più sale e più la sua mente gli offre delle visioni che gli mostrano cosa sta succedendo nel mondo esterno. Questa crescente consapevolezza lo rende una specie di semidio, in grado, alla fine, di volteggiare nell’aria senza reggersi ad alcun sostegno.
3. Il futuro
Siamo alla fine. Il giapponese ormai ha raggiunto il massimo grado di consapevolezza. Quest’ultimo capitolo in realtà dura giusto un paio di minuti e fa solo intendere che il protagonista sia diventato una vera e propria divinità, in grado di controllare il destino del mondo intero.
Vale la pena vedere Symbol?
È giunto quindi il momento di tirare il proverbiale sospiro di sollievo e cercare di capire se in mezzo a queste immagini c’è anche del significato.
Credo, ma non ci giurerei, che in Symbol tutto ruoti attorno all’influenza reciproca. Il giapponese, infatti, compie una serie di azioni dapprima casuali e poi sempre più consapevoli. All’aumentare della consapevolezza, aumenta il suo impatto nel mondo e la sua capacità di influenzare la vita delle altre persone. Se non avesse premuto quel tasto, il lottatore non avrebbe avuto il superpotere del collo allungabile e con ogni probabilità avrebbe perso quell’incontro.
Quello che ancora mi sfugge è perchè i tasti siano fallici. Bah.
Ma Symbol è talmente strano che è difficile dire con esattezza quale idea ci sia alla base. L’importante è che riesca a divertire e, in qualche modo, a far riflettere, seppur con scene apparentemente senza senso e traboccanti di trash. Consigliato a chi è appassionato di simbolismo e criptici messaggi nascosti. Sconsigliato a chi, da un film, si aspetta una trama chiara e lineare.
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