Dopo Bohemian Rhapsody e Elvis, la nuova biopic appena uscita sul grande schermo è il film Whitney – Una voce diventata leggenda.
Whitney Houston è già stata oggetto di due documentari Whitney: Can I Be Me? di Nick Broomfield del 2017 e Whitney di Kevin Macdonald, uscito un anno dopo. Questo nuovo film è in grado di sfiorare con tatto e delicatezza il lato tragico di Whitney, mostrando una prospettiva affascinante sulla vita della cantante.
L’ascesa di Whitney: dai sobborghi ai tour mondiali
Nessuno sa cantare come Whitney Houston e Kasi Lemmons, la regista, lo sa.
Il film inizia con Whitney Houston, interpretata da Naomi Ackie, che canta nel coro gospel della Chiesa del sobborgo in cui viveva prima di essere scoperta. Il suo enorme talento la porterà ad avere successo sui palchi di tutto il mondo. Parallelamente al ritratto della gloria di Whitney, si racconta delle difficoltà che la celebre cantante ha dovuto affrontare dalla droga, ai drammi d’amore fino ai complicati rapporti familiari.
I demoni di Whitney Houston
I suoi successi erano condivisi e i suoi soldi erano gestiti dal padre (Clarke Peters), che però li sperperava incautamente, mentre gli errori di Whitney pesavano unicamente su di lei.
Whitney è costretta a tenere nascosta la sua relazione con Robyn Crawford (Nafessa Williams) e a chiudere con lei. Tuttavia riesce a mantenere l’amicizia affidandole il ruolo di sua direttrice creativa.
Whitney era spesso criticata sia per le sue scelte musicali eclettiche sia per il suo aspetto, il colore chiaro della pelle e lineamenti minuti la rendevano somaticamente più vicina all’etnia caucasica.
La storia d’amore con Bobby Brown (Ashton Sanders) inizia quando Whitney gli dà il suo biglietto da visita, prosegue con alcune collaborazioni musicali R&B, ma è complicata già prima del matrimonio. I tradimenti, l’aborto, le violenze psicologiche e le frequenti liti non rendono a Whitney la vita facile.
Tutto ciò la porta a danneggiare deliberatamente la sua voce con fumo e droghe pesanti. “È come lasciare uno Stradivari sotto la pioggia” le dice Clive Davis (Stanley Tucci), il produttore discografico che l’aveva seguita per tutta la sua carriera.
Il film come un jukebox per raccontare il rapporto che Whitney aveva con la musica
Le canzoni di Whitney rendono il film un jukebox per appassionati. Naomi Ackie esegue dei lipsync perfetti sulle note della voce registrata della Houston. L’inimitabile interpretazione di I Will Always Love You di Whitney ci tocca il cuore durante il montaggio del matrimonio con Brown, della nascita della figlia Bobbi Kristina e della celebrazione di Nelson Mandela sotto un cielo pieno di fuochi d’artificio.
È noto che Whitney non scriveva le proprie canzoni, ma le cantava come se fossero state create da lei. La madre Cissy (Tamara Tunie) le aveva insegnato che Dio le aveva dato un dono e che lei doveva usarlo nel modo giusto. Whitney partecipa alla selezione dei brani più volte, mostrando gusto e consapevolezza artistica, aggiungendo il suo tocco personale. Amava le canzoni potenti, quelle che la facevano faticare, per cui doveva studiare e lei adorava le sfide.
Lo sceneggiatore Anthony McCarten scava sotto il guscio della popstar per mostrare una donna che, a 48 anni, stava ancora lottando per definire sé stessa. Da ragazza era una versione in miniatura della madre, la cantante Cissy Houston, con pure lo stesso taglio di capelli. La vediamo crescere e trasformarsi nella principessa d’America, un ruolo che le andrà sempre un po’ stretto. La versione autentica di Whitney non è quella degli abiti scintillanti, ma è quella dei jeans buoni e della felpa Levi’s indossati per firmare il contratto con Clive Davis, è quella della tuta bianca che canta l’inno nazionale al Super Bowl.
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